Ci mancava anche la letterina della Unione europea. Certo, è solo un avvertimento, non c’è nessuna procedura d’infrazione; tutto è rimandato al negoziato in corso tra Pier Carlo Padoan e Pierre Moscovici sul deficit, sul debito, sulle condizioni eccezionali che Bruxelles è disposta a riconoscere all’Italia (per esempio, l’inflazione troppo bassa) e l’impatto che ciò avrà sui margini di flessibilità rimasti. Dunque le due paginette che arriveranno martedì o mercoledì, secondo quel che scrive la Repubblica, possono essere considerate una tiratina d’orecchi. In ogni caso, dicono che sul debito non ci siamo ancora e anche il deficit è eccessivo; quindi, per rientrare nel percorso virtuoso occorre una manovra di aggiustamento di tre miliardi (due secondo Padoan).



Non è una cifra enorme, ma dimostra quanto sia faticoso il cammino e irto di ostacoli, soprattutto dice chiaro e tondo che la politica fiscale ha margini troppo esigui per diventare la leva della crescita. Una crescita che non arriva. I dati trimestrali pubblicati dall’Istat parlano di 0,6% nel 2015, ma soprattutto mostrano un profilo discendente. L’anno era cominciato con +0,4 ed è finito con un +0,1% soltanto.



Le condizioni sono peggiorate un po’ ovunque, sia chiaro. Uno studio del Crédit Suisse dimostra in quattro grafici che da dicembre a oggi tutti i più importanti indicatori della congiuntura europea volgono al peggio. Gli indici del manifatturiero e quelli dei servizi sono scesi avvicinandosi a quota 50, la soglia che segnala l’inizio di una contrazione. Anche gli indicatori sulla fiducia e sulle attività delle aziende si sono indeboliti dall’inizio dell’anno, così come la fiducia dei consumatori.

Un sondaggio elaborato direttamente da Crédit Suisse sulle intenzioni di spesa delle società mostra (lo si vede nel grafico a fondo pagina) come le aziende abbiano tagliato i piani futuri. Le cose vanno peggio anche sui mercati finanziari. Lo stress causato dal debito incerto delle banche e la discesa delle azioni del comparto bancario hanno rallentato gli effetti sulla crescita provenienti dall’allentamento della politica monetaria.



I prezzi continuano a calare, le imprese non vogliono spendere e stanno perdendo fiducia. L’inflazione annuale Ue è peggiore di quando è stato lanciato il piano di politica monetaria della Bce e ora l’unica cosa logica è aumentare ancora il piano di acquisto dei bond o tagliare ulteriormente i tassi di interesse/deposito. Vedremo che cosa annuncerà Mario Draghi giovedì prossimo, è chiaro che la Bce dovrà muoversi dopo il flop di dicembre.

Il governatore della Banca di Francia, Villeroy, si è detto certo che la politica monetaria farà tutto il necessario per contrastare la deflazione e sostenere la crescita. Ma bisogna prendere atto che finora non c’è riuscita e sui mercati cresce la convinzione che non le sia rimasto molto da fare. Ogni passo avanti nel territorio dei tassi d’interesse negativi ha un effetto boomerang perché danneggia i conti delle banche, peggiora i loro bilanci e le induce a stringere il credito. Siamo quindi al paradosso che l’allentamento monetario della banca centrale provoca una stretta da parte delle banche commerciali. Questo mentre gli investimenti delle imprese si stanno riducendo e le famiglie seguono comportamenti cautelativi (non spendono e non investono i loro risparmi) per timore di una nuova tempesta.

Su famiglie e imprese incide anche il contesto geopolitico nel quale l’Europa si trova: la guerra in Siria, il caos in Libia, l’onda senza fine di rifugiati, le frontiere interne che si chiudono. Schengen che insieme a Maastricht ha segnato il passo in avanti dell’Unione europea verso una più forte integrazione, è in pericolo. E sullo spartiacque di Schengen e di Maastrischt si trova l’Italia con la sua posizione strategica, con i conti pubblici ancora in disordine e con un’economia che non tira anche perché gli italiani hanno paura e non si fidano. Non si fidano nemmeno del governo?

Matteo Renzi continua con la sua propaganda ottimistica. La polemica contro i gufi non fa più ridere nessuno, è diventata una noiosa tiritera e i messaggi inviati da palazzo Chigi hanno l’aria di veline da regime. Il falso ottimismo non genera ottimismo proprio perché è falso; ormai è chiaro a tutti. Sarebbe molto meglio se il capo del governo prendesse atto della realtà, magari dicendo che siamo di fronte a un peggioramento inatteso della congiuntura mondiale, congiuntura politica ed economica, si presentasse di fronte al parlamento e chiamasse tutti i partiti, i partitini, i cespugli, i movimenti vecchi e nuovi, ad assumersi le proprie responsabilità.

Sta arrivando il momento di scelte difficili in tutti i campi, Renzi deve dire le cose come stanno, tirar fuori idee e proposte, chiedere un mandato per agire. In economia la priorità è sostenere la domanda interna con una chiara e credibile riduzione delle tasse. In politica è la sicurezza, il che significa gestire bene la crisi dei rifugiati e prepararsi all’inevitabile coinvolgimento nella stabilizzazione della Libia. Altro che gufi, el condor pasa.