«L’economia mondiale in questo momento è al bivio. Se il mercato si rompe anche per l’Italia sarà il caos. Se invece non si rompe il nostro Paese è in una situazione ben diversa da quella del 2011, e dovremmo riuscire ad andare avanti come abbiamo fatto finora». Lo evidenzia Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università degli Studi di Torino. Nel rapporto trimestrale appena pubblicato dalla Banca dei regolamenti internazionali (Bri) si afferma che l’inizio difficile del 2016 prelude a “una delle peggiori crisi dei mercati finanziari dal 2008”. La Bri fu una delle poche istituzioni mondiali a prevedere la crisi del 2007-2008.



Professor Deaglio, lei come interpreta i risultati del rapporto della Bri?

La visione globale che emerge dal rapporto della Bri è nettamente negativa, e arriva una settimana dopo un G-20 il cui comunicato finale indica che la fragilità aumenta. Un messaggio che tradotto in italiano significa: “Si salvi chi può”. Sostanzialmente non c’è nessuno che abbia la capacità e al limite la volontà di prendere in mano le redini dell’economia mondiale. In questa situazione quindi c’è la confusione massima. C’è un dato che ritengo particolarmente significativo. Dal 2011 a oggi la parola “incertezza” è comparsa nei verbali della Fed in media cinque volte l’anno. Nel 2015 è scesa a una volta. Nell’ultimo verbale del 19 gennaio c’era invece 19 volte.



L’Italia con il suo debito è un osservato speciale. Se la situazione globale peggiora, questo che cosa comporterà sul piano nazionale?

Può succedere di tutto. In generale però la situazione sarà nettamente diversa a seconda che il mercato “si rompa” o meno. Se il mercato si rompe ci sarà una situazione di caos. La stessa Bri mostra che i flussi internazionali di capitale sono diminuiti, cioè che la gente è meno disposta a investire all’estero. Se il mercato si rompe questa situazione si accentuerà ancora di più.

Cosa vuol dire che il mercato globale potrebbe “rompersi”?

Potrebbero esserci degli interventi normativi che limitino l’accesso ai mercati: per esempio, legati all’embargo tra Russia e Ue, oppure provvedimenti contro la Cina da parte del Congresso Usa. Questi tipi di situazione potrebbero accelerare qualora si verificassero delle reali emergenze nell’America del Sud, soprattutto in Brasile. Già oggi la gente fa più attenzione a investire all’estero rispetto al passato. Da qui si potrebbe arrivare al blocco di determinati flussi perché si ritiene che alcuni Paesi non siano più affidabili.



E se invece il mercato non “si rompe” che cosa ci dobbiamo aspettare in Italia?

Sui suoi titoli di Stato l’Italia offre un tasso un po’ più alto degli altri, e per ora il mercato ci considera sostanzialmente stabili come gli altri. Ci troveremmo quindi in una situazione non catastrofica da gestire, anche se non sappiamo come si presenterà. Se il mercato non si rompe, e se la stessa Italia non ha delle situazioni interne di grave rottura, non andremo particolarmente male.

Lei esclude che si ripeta un nuovo 2011?

Sono situazioni molto diverse. Ricordiamoci che la crisi del 2011 scoppiò per una ragione precisa. Noi dobbiamo rifinanziare mediamente un miliardo di euro al giorno di debito, cioè circa 300/350 miliardi l’anno. Lo facciamo quattro o cinque volte al mese mettendo insieme 5/7 miliardi di euro con le aste. Alle aste nel 2011 non veniva più nessuno, e fu così che cadde il governo Berlusconi. Oggi non siamo nella stessa situazione del 2011: alle nostre aste partecipano numerosi investitori. Il nostro spread è relativamente alto, ma è quello che attrae perché i nostri bond rendono leggermente più degli altri. Quindi se non si verificano eventi particolarmente gravi sul fronte interno, dovremmo riuscire ad andare avanti come abbiamo fatto finora.

 

Giovedì si riunisce il board della Bce, ma nel suo rapporto la Bri nota che le banche centrali possono fare poco per risolvere l’attuale situazione. Perché allora c’è un’aspettativa così grande nei confronti di quello che farà Draghi?

Soprattutto perché i giornalisti economici hanno poco da scrivere. Draghi si è messo su un sentiero piuttosto obbligato. Probabilmente incasserà anche questa volta il dissenso dei tedeschi, ma in modo non troppo conflittuale. Quindi andrà avanti per la sua strada, ma sappiamo bene che questi soldi di per sé non bastano.

 

(Pietro Vernizzi)