«I conti di Padoan su inflazione e crescita del Pil non tornano, e la causa è un errore nell’impostazione di fondo del governo che guarda soltanto ai grandi annunci e alle riforme, ma non si occupa degli aspetti organizzativi e della microeconomia». È l’osservazione del professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie. In un’intervista uscita mercoledì su Il Sole 24 Ore il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha sottolineato che il taglio delle tasse “è uno dei pilastri della politica del governo, ma come dico spesso, per essere credibile deve essere finanziato con tagli alla spesa. Per questo la spending review continua”. Ma sulle modalità in cui concretizzare la riduzione della pressione fiscale Padoan frena: “In questa fase ci sono varie ipotesi sul tappeto. È presto per pronunciarsi”.



Professore, dall’intervista a Padoan emerge che il governo ha o meno una visione strategica di economia e finanza?

Il governo ha una visione “strategica” dell’economia che si compone di due elementi. Da un lato ci sono le politiche di bilancio di Padoan, dall’altra c’è il populismo di Renzi il cui emblema sono i bonus. Il ministro Padoan dà molta importanza al deficit come stimolo della domanda e a nozioni macroeconomiche come i moltiplicatori. A mancargli però è soprattutto un’impostazione sulle tematiche tributarie, della spesa pubblica e della finanza bancaria.



Per Padoan nel 2016 il Pil dell’Italia crescerà dell’1,2%. Come valuta questa stima?

Ciò che emerge su Pil e inflazione è una divergenza tra le previsioni di Padoan e le stime dell’Eurozone Economic Outlook diffuso dall’Istat. Secondo quest’ultimo nei primi tre trimestri 2016 l’inflazione nell’area euro sarà del +0,1%. Se in Italia l’inflazione sarà più alta, questo ci aiuterà nel rapporto debito/Pil, ma vorrà dire che avremo una minore produttività e una tendenza dei costi a salire di più che negli altri Paesi europei: la conseguenza sarà una perdita di competitività dell’Italia. Se invece l’inflazione dell’Italia sarà in linea con l’Eurozona, la stima del rapporto debito/Pil fatta dal governo non funzionerà.



E quindi?

Quindi il Pil, in termini reali o in termini monetari, non aumenterà nel modo in cui Padoan ha previsto. Le risposte del ministro sono inadeguate, oltre a essere inficiate dalla propaganda e dalla sua visione distorta. L’espansione della domanda interna dipende da due fattori: il prezzo del petrolio e il basso tasso d’interesse. Ciò aiuta a ridurre i costi sia dei consumi durevoli, sia degli investimenti di privati e imprese, nonché ad aumentare il potere d’acquisto. Tanto è vero che nei primi tre trimestri 2016 nell’Eurozona si prevede un aumento del potere d’acquisto dell’1,8% e del Pil dell’1,4%.

Il nuovo pacchetto per la crescita è ciò di cui ha bisogno il Paese?

La vera priorità mi sembra un’altra. Il credito in Italia è inceppato perché, per quanto riguarda la procedure fallimentari, il sistema giudiziario non funziona. La durata di queste procedure è pari a otto anni in Italia e quattro anni negli altri Paesi. Mediobanca ha calcolato che ogni anno in più fa perdere il 10% del valore sulle garanzie in questione. Se noi riuscissimo a ridurre la durata di queste procedure da otto a sei anni, il problema delle sofferenze bancarie italiane potrebbe ridursi in modo significativo.

Le norme fallimentari dell’Italia non funzionano?

Non è però soltanto una questione di norme fallimentari, ma di funzionamento dei tribunali. Il tribunale di Bolzano ha infatti una media di quattro anni, il Nord Italia di sette anni e la Basilicata di 12. I tribunali mancano di personale e le pratiche sono intasate: il governo dovrebbe occuparsi di questi aspetti organizzativi, mentre Padoan ha in mente soltanto le modifiche delle leggi in astratto. L’esecutivo di Renzi è capace soltanto di fare le riforme sulla carta, quando ci riesce.

 

Perché non basta?

Perché il vero problema da risolvere è che i nostri crediti si deteriorano perché le procedure sono lente e macchinose. Con una mentalità organizzativa che bada ai fatti anziché ai proclami, alla microeconomia e alla realtà sociale invece che ai grandi numeri, noi avremmo un Paese vicino ai dati dell’Unione europea, che non sono trionfali ma comunque ci metterebbero ai ripari dai rischi di nuove turbolenze dei mercati.

 

(Pietro Vernizzi)