«La Bce non può fare assolutamente nulla contro la deflazione, perché il modello economico di riferimento su cui si basa tutta la costruzione dell’euro non glielo consente». È la constatazione di Antonio Maria Rinaldi, professore di Economia politica all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara e alla Link Campus University di Roma. I dati di marzo dell’Istat registrano un incremento dei prezzi al consumo dello 0,2% su base mensile e una diminuzione dello 0,2% su base annua. Al netto degli alimentari non lavorati e dei beni energetici, l’inflazione di fondo cresce dello 0,6%.
Professore, perché non si riesce a fermare la deflazione?
Draghi è stato particolarmente bravo nell’inventarsi armi non convenzionali, ma la Bce non può comunque fare assolutamente nulla. Il modello economico di riferimento su cui si basa tutta la costruzione dell’euro non consente alla banca centrale di fare alcunché. E anche cambiassimo il suo statuto, l’Eurotower non potrebbe fare nulla perché è lo stesso modello economico che non glielo consente.
In che senso il modello europeo non consente di combattere la deflazione?
Non lo consente perché prevede che bisogna perseguire la stabilità dei prezzi e il rigore dei conti pubblici fino al conseguimento del pareggio di bilancio. Pertanto la Bce non può acquistare i titoli del debito pubblico nell’area euro sul mercato primario, bensì solo su quello secondario. E quindi non può finanziare direttamente i deficit degli Stati, come fanno invece tutte le banche centrali del mondo.
Qual è la differenza tra queste due tipologie di intervento?
L’acquisto sul mercato primario permette di determinare esattamente i tassi e le quantità, e di non affidarsi invece al mercato. Gli acquisti sul secondario sono compiuti già ad emissione fatta, quando le quantità dei titoli sono già state determinate. Sul secondario il mercato determina sia il tasso di interesse, sia la quantità di assorbimento a quel tasso.
Lei quindi come valuta misure della Bce quali Ltro e quantitative easing?
Le misure della Bce, quali Ltro e quantitative easing, non sono trasmesse poi all’economia reale. Servono solo per soccorrere i titoli del debito pubblico attraverso un intervento surrogato da parte delle banche, perché la Bce non lo può fare direttamente.
Quali sono le conseguenze della deflazione per il debito pubblico?
Con la deflazione aumenta il valore del debito pubblico, mentre invece con l’inflazione diminuisce. Il calo dei prezzi indica inoltre che i consumi non stanno ripartendo, cioè che è in atto una stagnazione dell’economia. Questo a sua volta significa una maggiore disoccupazione e minori entrate fiscali. Purtroppo per anni e anni la gente è stata bombardata con affermazioni secondo cui l’inflazione era la peggiore disgrazia possibile. Adesso si sta rendendo conto sulla propria pelle che la deflazione è anche peggiore.
Una maggiore deflazione significa quantomeno prezzi più bassi?
Non è così. I panieri su cui si calcolano i prezzi non riguardano tutti quanti i beni. È possibile quindi che nel campo alimentare non aumentino i prezzi, ma che crescano quelli di altri beni di consumo. Bisogna quindi vedere all’interno del paniere come sono strutturati gli aumenti e le diminuzioni del costo di beni e servizi. Abbiamo visto che alcuni servizi sono aumentati, altri sono diminuiti, ma magari non sono così importanti per i cittadini. Alla fine il cittadino si trova ad avere un costo della vita superiore.
Esiste anche una correlazione tra deflazione e disoccupazione?
Secondo la curva di Phillips, l’inflazione è inversamente proporzionale al tasso di disoccupazione. Il fatto di essere in deflazione comporta quindi una riduzione dell’occupazione. D’altra parte il modello economico a supporto dell’euro, tanto caro all’ortodossia tedesca, non prevede modelli che tengano conto anche dell’occupazione. Mentre il nostro modello pre-euro, pur presentando enormi problemi e incongruenze, quantomeno perseguiva la piena occupazione.
(Pietro Vernizzi)