Nel trimestre dicembre-febbraio le esportazioni italiane sono diminuite dello 0,7% rispetto al trimestre precedente. Il dato è invece positivo se si considera il solo mese di febbraio, con un +2,5% rispetto al mese precedente e un +3,3% rispetto a febbraio 2015. È quanto risulta dagli ultimi dati Istat. Secondo le previsioni del governo contenute nel Def, il Pil dell’Italia crescerà dell’1,2% nel 2016 trainato soprattutto dalla domanda interna. Intanto per la Banca d’Italia il debito italiano ha raggiunto quota 2.215 miliardi. Per Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «il vero problema del nostro Paese resta l’imposizione fiscale sulle famiglie che continua a essere troppo elevata».



Professore, perché dice che il vero problema dell’Italia è l’imposizione fiscale troppo elevata?

Secondo l’Oecd, in Italia l’imposizione fiscale per una famiglia con due bambini e un unico percettore di reddito nel 2015 è stata pari al 39,9%. Nel 2014 era del 38,9% e nel 2010 del 37,8%. In Germania è stata invece del 34% nel 2015, cioè del 6% in meno rispetto all’Italia. In Francia la pressione fiscale è come nel nostro Paese, ma i servizi pubblici transalpini, per la famiglia in particolare, sono incomparabilmente migliori.



Il governo dice che la domanda interna nel 2016 trainerà il Pil. Lei che cosa ne pensa?

Nel momento in cui aumenta la pressione fiscale sulle famiglie italiane, non si capisce come possano esserci maggiori spazi per i consumi. L’unica possibilità è attingere ai risparmi, ma questo significa rendere ancora più precarie le possibilità di ripresa.

Quanto è realistico pensare che nel 2016 il Pil crescerà dell’1,2%?

Non una previsione realistica, penso che il Pil nel 2016 sarà sugli stessi ordini di grandezza del 2015. Staremo di nuovo a litigare sullo “zero virgola”. Ma che differenza fa nella vita quotidiana se il Pil cresce dello 0,6 o dello 0,8%? Ciò che dovrebbe contare per la domanda interna è il potere d’acquisto delle famiglie. A maggior ragione adesso che la debolezza della domanda internazionale è più accentuata, e quindi un ribilanciamento sulla domanda interna sarebbe fondamentale.



Intanto il debito pubblico italiano è arrivato a quota 2.215 miliardi. Perché non si riesce a fermare la spesa pubblica?

Il problema dell’Italia non è la spesa pubblica. Nel 2014 il Paese Ue con il debito pubblico più elevato era la Germania con 2.184 miliardi. L’Italia aveva un debito di 2.135 miliardi, il Regno Unito di 2.057 miliardi, la Francia di 2.037 miliardi, la Spagna di 1.033 miliardi.

In quali Paesi il debito pubblico è cresciuto di più?

Tra il 2010 e il 2014, il tasso di crescita del debito pubblico è stato del 15% in Italia e del 5% in Germania. La Francia però ha registrato un aumento del debito del 25% e la Spagna del 60%.

 

Quindi?

Quindi il tormentone sul debito pubblico italiano non ha fondamento. Lo stock del debito pubblico in Europa è elevato per tutti i grandi Paesi, e anche in Germania, Francia e Regno Unito supera i 2mila miliardi. La vera differenza è che, dal punto di vista del Pil, la Germania ha passato indenne la crisi, mentre la stessa cosa non si può dire dell’Italia.

 

Come è messa l’Italia per quanto riguarda il rapporto debito/Pil?

È proprio questo il punto. Anche in Germania il debito pubblico ha continuato a crescere, sia pure in misura minore dell’Italia. Ciò che differenzia davvero la Germania rispetto all’Italia è il fatto che i tedeschi non hanno avuto una crisi, anzi il Pil è aumentato. Quindi il rapporto debito/Pil in Germania è diminuito mentre in Italia è cresciuto.

 

Di quanto è cresciuto?

Nel nostro Paese oggi è superiore al 130%, mentre nel 2007 era inferiore al 100%. Quindi o è esplosa la spesa pubblica, come si vorrebbe far credere, oppure abbiamo avuto una recessione. La verità è la seconda: nel nostro Paese abbiamo avuto una delle recessioni più forti in Europa. Il vero problema è questo. Quindi l’assimilazione del debito pubblico con la spesa pubblica è quantomeno inappropriata.

 

(Pietro Vernizzi)