“Il 2016 non sarà meno foriero di sfide per la Bce. Le prospettive per l’economia mondiale sono circondate da incertezza. Dobbiamo fronteggiare persistenti forze disinflazionistiche”. Così dice Mario Draghi, presidente della Bce, nell’introduzione al rapporto annuale 2015 dell’istituto di Francoforte: “Si pongono interrogativi riguardo alla direzione in cui andrà l’Europa e alla sua capacità di tenuta a fronte di nuovi shock. In questo il nostro impegno a onorare il mandato conferitoci continuerà a rappresentare un’ancora di fiducia per i cittadini d’Europa”.



Persistenti forze disinflazionistiche? Forzati delle dietrologie, c’è pane per i vostri denti, datevi da fare. Dove stanno? Quali sono? Cosa vogliono ottenere? Vi do un aiutino: stanno nel mercato, sono quelli che fanno la spesa, reclamano la possibilità di poter continuare a farla. Sì, insomma quella deprecabile gente, prodiga e men che mai satolla. Quella che, pur affrancata dal bisogno, con quel fare fa il 60% della crescita economica. Sì, insomma, quelli della “spesa privata”, privati del reddito sufficiente a farla. Nella fattispecie, i cittadini dell’Ue. Proprio quelli che i Nostri vogliono favorire con i tassi bassi per poter spingere l’inflazione.



Lo dice Ignazio Visco, di Bankitalia: “Bassi tassi nominali potrebbero far male ad alcune istituzioni, ma sono necessari per il rafforzamento della crescita, l’aumento del reddito disponibile e della spesa, e in ultimo dell’inflazione”. Dice pure il vice Draghi, Vitor Constancio: “La Bce ha fatto…e continuerà a fare ciò che è necessario per perseguire l’obiettivo della stabilità dei prezzi che ora prevede anche cercare di incoraggiare la crescita”.

Vediamo di venire a capo del bandolo della matassa che sta dietro queste dicerie: io che a furia di cibarmi sto in sovrappeso, che vesto alla moda che passa di moda e per andare da qui a lì lo faccio in Suv, se dispongo di 100 euro per fare la spesa e sul mercato ci sono merci per un valore di 120 euro, manco di poter acquistare il tutto e fare tutta la crescita possibile. A fronte di questa mancata crescita: Loro, abbassano il costo del denaro affinché io lo prenda e lo spenda, così non scendono i prezzi, anzi salgono (inflazione); io, affrancato dal bisogno, non ho convenienza alcuna a indebitarmi per acquistare sovrappiù, ancor meno quando, con l’inflazione, costa di più (deflazione). Loro hanno il mandato istituzionale della stabilità dei prezzi, situata attorno al 2% (gulp), a cui si attengono per fronteggiare quelle intravviste persistenti forze disinflazionistiche. Io mi sforzo di dover pareggiare il conto. Se per loro i prezzi sono stabili se aumentano del 2% devo spendere un 2% in meno per tenere stabile il potere d’acquisto.



Si sta ficcati insomma dentro un ginepraio, di interessi confliggenti, che gira in tondo minando ancor più la crescita, dimentichi che inflazione e deflazione “per me pari son”. Giust’appunto dispositivi, a uso del mercato efficiente, per ripristinare l’equilibrio quando risulta alterato il rapporto domanda/offerta. Equilibrio che occorre garantire per ottimizzare l’impiego dei fattori produttivi. Equilibrio possibile mediante la gestione attiva del “processo di consumazione” che gli arrangi, tentati per manomettere, l’inflazione hanno tentato di scalfire.

Si rende pertanto evidente dover riconsiderare l’efficacia delle politiche di reflazione adottate, alla luce degli imperativi che regolano l’equilibrio nell’economia dei consumi: quel che viene prodotto deve essere consumato; produttori e consumatori debbono disporre dei mezzi di esercizio per poter dispiegare per intero il loro ruolo; la crescita si fa con la spesa, così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera.

A chi parrebbe di poter scorgere, in questo azzardo, la possibilità di andare oltre quell’ineffettuale già fatto, scorga, scorga pure.