Oggi e domani si riunisce l’Ecofin, composto dai ministri dell’Economia e delle Finanze dei Paesi Ue. Uno dei temi centrali è l’esposizione delle banche rispetto ai titoli di Stato. La Germania ha chiesto che si ponga un tetto, superato il quale le banche devono vendere i titoli in loro possesso. La presidenza di turno dei Paesi Bassi ha presentato cinque possibili opzioni, segnalando che esistono rischi e benefici per ciascuna di esse. Parigi è contraria all’introduzione del tetto ai titoli di Stato, che creerebbe gravi problemi non solo a alla Francia, ma anche a Italia e Spagna. Ne abbiamo parlato con il professor Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison.
A quali conseguenze può portare lo scontro tra la Germania e gli altri Paesi Ue?
La Germania non può pretendere di dettare le tavole della legge, soprattutto se i comandamenti non sono così sensati e soprattutto sembrano favorire gli stessi tedeschi. Le regole dovrebbero essere ispirate alla saggezza, tanto più in un’Ue come quella attuale che è già in serie difficoltà, come documentano problemi quali migranti, bassa crescita e disoccupazione.
Perché le banche italiane hanno così tanti titoli di Stato?
Se oggi le banche italiane possiedono questi quantitativi di titoli di Stato è perché noi negli ultimi tre anni abbiamo nazionalizzato il nostro debito. La Germania invece ha esportato il suo debito vendendolo agli stranieri. I tedeschi dovrebbero quindi essere grati che alcuni Paesi come l’Italia abbiano nazionalizzato il debito e che oggi abbiano un bassissimo debito estero.
È per questo che Francia e Italia intendono opporsi alla proposta tedesca?
Sì. Ritengo che occorra una particolare attenzione, perché si può discutere prima di approvare le regole, ma una volta che queste ci sono rimangono per un lungo periodo e fanno testo. Pensiamo per esempio alle polemiche sul bail-in bancario. Non si capisce del resto perché l’Europa debba introdurre un tetto ai titoli di Stato, quando nessun altro nel mondo lo fa. Ciò non fa altro che introdurre un’ulteriore inutile asimmetria tra Europa e resto del mondo.
Berlino però afferma che la sua proposta può comunque rendere le banche più sicure…
Berlino propone la medicina opposta a quella che la razionalità dovrebbe suggerire, e il motivo è che vuole spostare l’attenzione dai veri problemi. Di tutte le soluzioni possibili per stabilizzare le banche, si sceglie di considerare i titoli di Stato alla stregua dei derivati. Il vero problema per le banche sono i titoli non liquidi, o titoli di livello 3, il cui prezzo è fissato dalla banca stessa sulla base di proprie valutazioni.
Quanto sono diffusi i titoli non liquidi?
Secondo le analisi di Mediobanca, le banche tedesche hanno in pancia una quantità di titoli di livello 3 che varia a seconda degli istituti di credito tra il 30% e il 60% del patrimonio netto tangibile. Se escludiamo dal computo le quote che possiedono in Banca d’Italia, il livello di Intesa Sanpaolo e Unicredit è invece intorno all’8%. Il vero problema quindi non è certo la quantità di titoli di Stato possedute dalle banche.
Da quali altri problemi si vuole spostare l’attenzione?
Attraverso un’operazione di lobbying, nei giorni scorsi grazie a Basilea 3 la Germania è riuscita a evitare che i derivati emergessero dai bilanci delle banche. Gran parte delle banche europee, a eccezione di quelle italiane e spagnole, possiedono un quantitativo di derivati gigantesco che non emerge. Eppure ci vengono a raccontare che i rischi per le banche sono i titoli di Stato. Se arrivasse una crisi finanziaria, vorrei vedere i bilanci di queste banche come fanno a stare in piedi.
Di solito si pensa che le banche del Nord Europa siano le più solide…
Non è così. Mentre tutti si concentrano sui requisiti patrimoniali, il vero problema è che molte banche del Nord Europa hanno una leva altissima. La Germania è riuscita inoltre a escludere dal controllo della sorveglianza unica europea tutte le sue banche locali. Alla luce di tutto questo, non si capisce come faccia Berlino a venire a proporci un regolamento severo sui titoli di Stato.
(Pietro Vernizzi)