Secondo l’Istat, nel mese di marzo 2016 le esportazioni italiane verso i Paesi extra-europei calano dello 0,3% rispetto al mese precedente e del 5,2% rispetto a marzo 2015. Nel trimestre gennaio-marzo si registra il -2,9% rispetto al trimestre precedente. Al netto dei prodotti energetici (-37,5%), il calo trimestrale è dell’1,3%. Le esportazioni verso i Paesi dell’America Meridionale diminuiscono del 28,2%, quelle verso i Paesi Opec del 21,6%, verso la Turchia dell’11% e verso il Sud Est asiatico dell’8%. Crescono invece le esportazioni verso gli Stati Uniti (+11,3%) e il Giappone (+9,5%). Ne abbiamo parlato con Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza.



Il governo ha previsto che il Pil nel 2016 cresca dell’1,2%. Alla luce del calo delle esportazioni, è possibile ottenere questo risultato solo grazie alla domanda interna?

Innanzitutto va fatta una precisazione: il calo riguarda soltanto il dato delle esportazioni extra-europee, mentre dobbiamo ancora attendere i dati aggiornati sulle esportazioni verso la Ue. Il saldo commerciale aumenta, ma ciò deriva sostanzialmente da una riduzione molto più marcata delle importazioni che beneficiano del calo del prezzo del petrolio. Non enfatizzerei quindi il dato negativo delle esportazioni, che dipende soprattutto dalla cattiva dinamica di economie come Russia, Brasile e Arabia Saudita, in quanto questi Paesi risentono del basso prezzo delle materie prime. E’ presto quindi per trarre conclusioni sull’andamento delle esportazioni annuali.



Dalle stime dell’Istat il Pil dovrebbe crescere dello 0,3% sia nel primo sia nel secondo trimestre. Di quanto dovrebbe crescere nella seconda metà dell’anno per arrivare al +1,2%?

Se effettivamente ci sarà un +0,3% nel primo trimestre e un +0,3% nel secondo, per arrivare a fine anno al +1,2% bisognerebbe superare il +0,5% nel terzo e nel quarto trimestre. Per centrare la previsione del +1,2% ci vorrà quindi una crescita che raddoppia rispetto alla prima metà dell’anno. Sempre ammesso che sia confermato il +0,3% nel primo e nel secondo trimestre, che però è ancora una previsione e non invece un dato definitivo.



Come si può ottenere una crescita che raddoppia nella seconda metà dell’anno?

Devono ripartire gli investimenti, su cui indubbiamente il governo ha cercato di mettere parecchia carne al fuoco. Il superammortamento da 140% con investimenti che vanno nel piano Juncker sono stati riconosciuti qualche tempo fa dallo stesso commissario Ue per l’Euro e il dialogo sociale, Valdis Dombrovskis.

Che cosa è stato fatto invece per il Meridione?

È stato messo in campo il credito d’imposta per gli investimenti nel Sud. Per il momento è il Mezzogiorno che manca drammaticamente all’appello.

Lei quindi che cosa si aspetta?

Ci sono varie cose che devono succedere per consentire un raddoppio del Pil nella seconda metà dell’anno. La speranza è che ripartano gli investimenti e che i consumi risentano positivamente del taglio di Imu e Tasi sulla prima casa.

 

Il referendum nel Regno Unito e gli altri problemi europei come possono riflettersi su esportazioni e domanda interna?

Possono avere conseguenze soprattutto sulle esportazioni verso gli altri Paesi Ue. Il referendum nel Regno Unito, ma anche i problemi di Grecia e Austria sono tutti elementi che potrebbero peggiorare il quadro. Si tratta di incognite i cui effetti non possono in alcun modo essere controllati. Nessuno in ogni caso ha ancora contabilizzato gli effetti di una Brexit, perché sono difficili da calcolare, e per il momento stiamo ancora facendo i conti come se il Regno Unito non dovesse uscire dall’Unione Europea.

 

E per quanto riguarda la Grecia?

Anche per quanto riguarda la Grecia l’aspettativa è che ci sia un altro round di cancellazione del debito, in modo da consentire ad Atene di rimanere dentro l’euro. E’ questo ciò che si aspettano i mercati. Tra i problemi europei si aggiunge la chiusura delle frontiere, ma tutte queste questioni sono tenute un po’ in secondo piano quando si formulano le previsioni economiche in quanto è difficile valutarne le implicazioni in senso quantitativo.

 

(Pietro Vernizzi)

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