“Ora serve il passo verso l’Europa” (G. Bazoli). Devo confessare la sorpresa nel leggere non tanto quello che, bensì come, la stampa ha scritto oggi sulla svolta che ha segnato in Intesa Sanpaolo (primo gruppo creditizio finanziario in Italia e terzo in Europa) il passaggio dalla governance duale a quella monistica. Questa svolta, avvenuta sotto la guida sapiente di Giovani Bazoli, ha prodotto il ridisegno degli organi di governo e di controllo e ha registrato al contempo della fine del  Consiglio di sorveglianza della Banca l’uscita del suo Presidente.



Per questo evento, già annunciato e noto in precedenza, si è creata una risposta mediatica che non ha messo al centro dell’attenzione la Banca, ma Bazoli stesso. E la sua dipartita da Intesa Sanpaolo è stata colorata con i toni delle rievocazioni e delle commemorazioni, come se si fosse trattato della binomica fine di “Un Uomo – Un’Era”, a mo’ di tombstone.



È vero che il percorso di Giovanni, detto affettuosamente Nanni dagli amici più stretti e dai collaboratori, chiamati però colleghi (dando testimonianza del suo stile e delle sue convinzioni) ha segnato la più grande trasformazione del sistema bancocentrico prima, e di quello creditizio e finanziario poi; durante e dopo la Seconda Repubblica. Ma è altrettanto vero che, pur sua nella genetica riservatezza e a dispetto della veneranda età, al pari del passato, Giovanni Bazoli può dare ancora molto ai giovani, al Paese e alla classe dei banchieri presente ora.

Io sono una di quelle persone, non giovani, non propriamente banchieri, ma sicuramente attive per il proprio Paese. Giovani di allora che si sono arricchiti di quell’esperienza piccola o grande che sia, condividendo con lui alcuni dei momenti clou che hanno segnato al contempo, la politica, la finanza, la giustizia e le prospettive di un’Italia trasformatasi velocemente e talvolta cruentemente a partire dalla fine degli anni ’70.



Nel suo messaggio di saluto, che ho ricevuto ieri alle 15:24, leggo “Credo  si possa comprendere, è un momento per me di grande emozione, poiché segna la conclusione di oltre un trentennio di attività al servizio della nostra banca: era infatti il 1982 quando l’allora Governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi e il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta mi spinsero ad accettare la sfida di rilanciare il Nuovo Banco Ambrosiano. Il cammino percorso da allora è stato lunghissimo, denso di soddisfazioni per gli straordinari traguardi raggiunti. È forte in questo momento in me la tentazione di ripercorrerne le varie tappe, ricordare i passaggi più significativi, compresi i momenti più difficili. Non lo farò: mi limito a dire che è stato compiuto un percorso e sono stati raggiunti traguardi che non erano immaginabili”.

Difficile dire il contrario essendo l’emozione legata ai percorsi e i percorsi legati alle persone. E posso assicurare che la condivisione con lui dell’appartenenza o (che a dir si voglia) del riferimento all’area culturale e politica non ha creato condizioni di avvicinamento utilitaristico, bensì empatia capace di coniugare la mia timidezza alla sua riservatezza, che ho sempre definito ieratica. Ma in verità molto combattiva nel difendere principi e nel promuovere  istanze. Combattiva di quello stampo cattolico d’avant garde da Romolo Murri, a Maritain e a Sturzo, ma rimodulata con la dimensione politica degasperiana, rafforzata in quella non negletta a Mino Martinazzoli, ma capace d’insospettire Beniamino Andreatta più che Giovanni Goria.

Del Professor Bazoli la conoscenza migliore è stata quella fatta in Arel, uno dei migliori think tank per la politica e l’economia italiana. Io, in BNL, oltre agli Studi di area internazionale, curavo la segreteria tecnica di Nerio Nesi, allora presidente in corsa verso Atlanta. Quindi con Arel, e con BNL seguivo il percorso verso il Nuovo Banco Ambrosiano, quasi in bilocazione. Ma in Arel il proverbiale porsi di Nanni preoccupava soprattutto lo staff di Andreatta a partire da Domenico Ciampani, all’epoca capo della rappresentanza a Roma della Banca Cattolica del Veneto. La giovialità di Mimmo si trasformava in prudente annusamento di possibili eventi futuri a ogni avvicinamento e mossa di Bazoli, per poi diventare ombrosità. Ma la notizia che la sua sorte era segnata e che la sua banca si sarebbe fusa nel Nuovo Banco Ambrosiano, dando origine all’Ambroveneto, fui io a dargliela…

Mi ricordo che quella sera provenendo da una riunione in un’altra sede vicina a Sant’Andrea della Valle portavo una cravatta blu regimental… E la stessa cravatta la indossai anni dopo un 31 maggio in occasione dell’Assemblea dei Partecipanti al capitale della Banca d’Italia e della lettura delle Considerazioni Finali. Nell’ascensore accanto alla scalinata di destra che portava al primo piano il cosiddetto piano nobile del Governatore, dopo essere entrato vidi Bazoli seguito da Roberto Mazzotta e Carlo Salvatori. Varcando la soglia porte con un sorriso compunto ci salutammo tutti.

Bazoli, che era più alto di tutti noi, era assorto quasi fosse in una dimensione parallela. Poi all’improvviso, in contemporanea sguardo e sorriso saettarono sulla cravatta che avevo e che lui aveva riconosciuto. Era lampante il suo pensiero che fosse uno dei miei portafortuna da indossare in occasioni prescelte.

Più un’ironia che una critica, da un uomo in forza di fede. Solo dopo, e prima di accomodarci nel salone iniziammo a parlare. E ricordo parole a proposito del fatto che l’uomo viene riconosciuto non solo per  ciò che lascia, ma anche per ciò che si prepara ad affrontare. Per questo ritengo che la sua vita da banchiere è una testimonianza continuativa nel tempo. Ciò che lascia (Intesa Sanpaolo) lo sappiamo. Ciò che si prepara ad affrontare è il titolo di questo commento. Buon prossimo compleanno Presidente Bazoli.