Che fine settimana terribile per il povero Renzi. Le repentine dimissioni di Federica Guidi non riescono a esorcizzare gli spettri che danzano attorno a palazzo Chigi. Mentre l’inchiesta in Basilicata sta trasformando un referendum di per sé inutile e incomprensibile come quello del 17 aprile in una prova di forza anti-renziana dentro e fuori il Pd. Non solo, Michele Emiliano non nasconde il suo vero obiettivo: il referendum istituzionale dell’autunno, capeggiando la rivolta delle regioni contro il nuovo centralismo.



Intanto i sondaggi sulle amministrative mostrano che non solo a Roma, ma anche a Milano i candidati renziani sono tutt’altro che certi di vincere. Si era capito già da tempo e noi lo avevamo segnalato che Renzi aveva bisogno di un cambio di passo, anzi di una vera e propria ripartenza. Solo lui ha fatto finta di non saperlo: per arroganza o al contrario perché si rende conto di aver finito le cartucce? Pur riconoscendo, come tutti, che Renzi non ama certo l’autocritica, propendiamo per la seconda spiegazione.



I dati che vengono dall’economia sono senza dubbio i più allarmanti e confermano che il governo sta esaurendo la sua spinta propulsiva. Un peccato perché non si vedono alternative credibili e si rischia di ricadere in quella rissosa instabilità che provoca ingovernabilità, il vero male oscuro del Paese. Ma nessun osservatore obiettivo può ignorare la realtà.

La frenata dell’occupazione brucia in modo particolare perché tocca l’efficacia della più importante riforma renziana, il Jobs Act. È vero come scrive Il Sole 24 Ore che senza crescita non c’è lavoro, ma una certa narrazione governativa aveva fatto credere il contrario. D’altra parte, per rilanciare la crescita Renzi non ha molti spazi di manovra. La spinta dell’export si affievolisce e la domanda interna non decolla. Si sente dire, soprattutto dai sindacati, in particolare dalla Cgil, che bisogna rilanciare gli investimenti pubblici, ma con quali risorse se gli stessi sindacati resistono a ogni riduzione della spesa corrente? Gli industriali privati protagonisti di una sorta di sciopero degli investimenti, chiedono una riduzione del carico fiscale sul lavoro per abbassare il costo del lavoro per unità di prodotto. Un’esigenza giusta, ma anche in questo caso, nel bilancio pubblico non c’è trippa per gatti.



Il ministro Padoan si è lanciato in una battaglia teorica in punta di dottrina per contestare i criteri con i quali l’Unione europea calcola l’output gap, cioè la differenza tra il prodotto lordo effettivo e quello potenziale. Probabilmente ha ragione lui che se ne intende, più dei burocrati di Bruxelles, ma in concreto che cosa può ricavarne? Un margine esiguo, qualche decimale di deficit in più. Nulla di risolutivo. Non può certo farne l’asse del Documento di economia e finanza che delinea la cornice della prossima Legge di stabilità.

Difficile in questa situazione dare consigli (non richiesti e tanto meno apprezzati). Ma certo è che chi aveva sperato nelle novità portate dal rottamatore si aspetta un colpo d’ala. In economia ci vuole, lo ripetiamo, un’operazione verità di fronte al Paese e in Parlamento, chiedendo un sostegno ampio a una coraggiosa politica di risanamento e rilancio. La concertazione è finita ed è un bene, ma il consenso resta un valore tanto più in democrazia. E oggi Renzi ha bisogno di un ampio consenso delle forze sociali e di quelle politiche responsabili. La crescita non arriva dal cielo e non basta nemmeno la moneta stampata a iosa dalla Banca centrale europea, bisogna spingere da ogni parte il corpaccione anchilosato dell’economia italiana. E tutti debbono spingere nella stessa direzione.

Un segnale politico importante potrebbe venire da un rimpasto nel governo. La poltrona vuota al ministero dello Sviluppo offre un’occasione d’oro. Intanto ci vuole una scelta di alto profilo, che non risponda alla solita logica del giglio magico. E poi potrebbe diventare il momento per potenziare una compagine di ministri che non ha dato l’impressione di essere nel suo insieme forte, reattiva, capace, carismatica.

Il rottamatore dovrebbe rottamare attorno a sé e in qualche modo se stesso. Un esercizio intellettuale, spirituale se vogliamo, premessa per una ripartenza, un Renzi due, direbbero i politologi, che recuperi le energie di due anni fa, ma getti al mare l’illusione dell’uomo solo al comando. Al contrario del luogo comune che regna a sinistra, l’Italia ha bisogno di un leader energico e di un esecutivo forte. Ma i governi migliori sono quelli composti da ministri competenti, anche a costo di sopportare qualche gallo in più nel pollaio.