Il governo italiano sta attaccando il sistema di calcolo dei parametri europei, recentemente guidando un gruppo di sette nazioni intenzionate a modificarlo. Il tema appare tecnico, ma in realtà è politico: il sistema di calcolo può determinare una pressione per riforme strutturali di efficienza nelle nazioni oppure lasciare loro margini per non cambiare modelli inefficienti. Per esempio, il metodo che rileva la differenza tra Pil reale di una nazione e quello potenziale (output gap) alla fine determina il numero da raggiungere per ottenere l’equilibrio di bilancio a cui sono tenute le euronazioni. L’Italia preme affinché questo metodo includa meglio le situazioni di ciclo economico e allarghi l’orizzonte temporale (da due a quattro anni).
Se tale proposta passasse, l’Italia sarebbe già dal 2012 in equilibrio di bilancio, non dovrebbe attuare manovre di aggiustamento (più tasse o tagli alla spesa) attorno ai 4 miliardi nei prossimi mesi e, soprattutto, non dovrebbe trovare più di 20 miliardi nel 2017 per restare nei limiti di deficit ammesso come ora si prevede in base ai metodi di calcolo vigenti combinati con una stima del Pil attorno all’1%.
Nelle prossime settimane il governo dovrà preparare il Def, cioè il piano economico per il 2017, e dovrà decidere se coprire con tasse e tagli la cifra detta oppure non farlo grazie all’instaurarsi di un diverso sistema di eurocalcolo della stabilità. Il tema è delicato perché se il governo non volesse coprire e il calcolo restasse quello in vigore, allora scatterebbero automaticamente clausole di salvaguardia firmate dai governi precedenti, in particolare l’aumento (devastante) dell’Iva. Per inciso, è impressionate rilevare quanto la vita economica dei cittadini di un’euronazione dipenda da modelli econometrici e trattati che i cittadini stessi non sanno valutare e che molti non sanno perfino che esistano.
Quale opinione sul tema? La proposta italiana, pur motivata, è politicamente debole perché sospettabile di voler evitare riforme (tagli) portatrici di dissenso in periodo elettorale e di stimolare l’economia aumentando deficit e debito. Per questo sarà respinta, probabilmente, pur con qualche contentino. Sarebbe politicamente più forte se chiarisse che servirebbe a un piano nazionale di taglio di spesa e tasse, cioè di vera riforma d’efficienza.
In conclusione, il nostro governo sta chiedendo più flessibilità europea per mantenere l’assistenzialismo di utilità elettorale, mentre dovrebbe chiederla per un più produttivo scopo di alleggerimento fiscale dell’economia.