Non sappiamo se Urbano Cairo coronerà il sogno proibito di molti da quasi mezzo secolo: diventare padrone del Corriere della Sera. Non è affatto detto che l’offerta di scambio annunciata ieri sera dall’editore di La7 arrivi in porto: soprattutto, non è certo che non venga contrastata da altre iniziative (il controvalore dell’offerta “carta su carta” – purtroppo per Rcs – supera di poco i 250 milioni di euro o poco più: una bazzeccola per un normale fondo di private equity globale, di questi tempi gonfio di liquidità gratis da reinvestire).



Non è neppure sicuro che il piano si perfezionerà nei termini programmatici comunicati ieri da Cairo Communication (“offerta finalizzata a creare un grande gruppo editoriale multimediale, dotato di una leadership stabile e indipendente, e a rafforzare il profilo economico-finanziario di RCS accelerandone il processo di ristrutturazione e rilancio”). È verosimile, invece, che il patron del Torino sia interessato anzitutto alla “Gazzetta della Sport”. E comunque è ormai quasi la norma del M&A contemporaneo che un’offerta venga strutturata con varie ipotesi di “spezzatini” successivi. Per quanto possa sembrare paradossale, Cairo potrebbe aver deciso di scalare il Corriere della Sera per rimetterlo in vendita.



Nessuno potrà in ogni caso contestare a Cairo di aver scosso l’albero: il più importante rimasto pietrificato nella “foresta” degli old media italiani. Per di più l’offerta su Rcs è sostanzialmente “amichevole”: viene da uno dei grandi soci del Corriere (4,6%). Tutti gli altri da mesi condividono la logorante paralisi di via Solferino: se addirittura non hanno deciso di separare i propri destini, come ha annunciato il primo azionista Fiat dopo il via alla fusione Stampa-Repubblica.

Lo storico “demiurgo” del Corriere – Giovanni Bazoli – sta intanto concludendo il suo lunghissimo mandato dal Nuovo Banco Ambrosiano a Intesa Sanpaolo, e l’amministratore delegato della banca, Carlo Messina, ha ripetuto negli ultimi giorni che la posizione di Intesa è quella del creditore di Rcs. Come “azionista”, Messina continua ad augurarsi quell’aumento di capitale (da parte di altri) che Rcs ha riprogrammato pro-forma in dicembre unicamente per consentire alle banche creditrici di accordare una proroga al rifinanziamento del debito. Proroga virtualmente scaduta, mentre appare sempre più pro-forma anche il “pianino” strategico messo a punto dal nuovo amministratore delegato Laura Cioli. Ma ormai sembrano dettagli di poca importanza.



La notizia di ieri – per la media industry italiana – è stata lo scambio azionario fra Vivendi e Mediaset imperniato sul passaggio di Premium al polo francese. Il quale polo francese ha appena formalizzato la sua presa di possesso di Telecom Italia sotto la guida del finanziere bretone Vincent Bolloré. Il quale resta grande azionista di Mediobanca (altro grande socio Rcs in uscita). E a proposito di Mediaset: a) Cairo nasce a Cologno come manager editoriale multimediale; b) Mediaset è controllata Fininvest, che controlla anche Mondadori, che ha appena fatto un favore a Rcs liberandola dalla divisione Libri.

La partita Rcs è appena agli inizi: ma offre già parecchio da scrivere.