UniCredit dice di essere in buona forma: ma il mercato non gli crede (neppure ieri, dopo una trimestrale apparentemente passabile). Pesa la “défaillance” nella garanzia dell’aumento di capitale della Popolare di Vicenza, che ha portato Financial Times e Wall Street Journal a scrivere in coro che il “caso UniCredit” è potenzialmente più grave del “casi BPVi”; anzi, che il fabbisogno patrimoniale del gruppo guidato da Federico Ghizzoni potrebbe rivelarsi pari a tre o quattro volte il miliardo e mezzo coperto a Vicenza dal fondo salva-banche Atlante.



Intesa Sanpaolo sta meglio di UniCredit: lo dice il mercato. Né il gruppo pilotato da Carlo Messina ha mai ritirato la parola data ai mercati mesi fa, accollandosi la garanzia della ricapitalizzazione da un miliardo di Veneto Banca, “gemella” dell’operazione Vicenza. Tuttavia da qualche giorno Intesa appare più guardinga, se non proprio meno sicura di sé e di quanto sta accadendo attorno. Il Ceo ha detto che il gruppo non terrà in portafoglio una sola azione Veneto Banca: e che anche ad Asolo-Montebelluna potrebbe intervenire Atlante, di cui peraltro Intesa e le sue Fondazioni azioniste sono state progettiste e architravi. A proposito: il miliardo di sottoscrizione annunciato da Intesa nel fondo lanciato da Quaestio si è già ridotto a 845 milioni, mentre il presidente dell’Acri della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, ha detto che i 500 milioni garantiti ad Atlante dal sistema-Fondazioni sono stati ”tanto che metà bastavano”, a buon intenditor…



A Veneto Banca, intanto, è approdato Stefano Ambrosini – un presidente con un passato in Compagnia San Paolo e un presente nei dintorni del cerchio magico di Renzi. E collocamento e Ipo della banca sono slittati verso fine giugno. Sui giornali, infine, cominciano a spuntare ipotesi di scorciatoie fuori Borsa: di aggregazione della Veneto M&A, senza bisogno di aumenti di capitale e tanto meno di nuovi interventi di Atlante.

UniCredit è una banca in cerca di autore: di un azionariato di vero riferimento, di una strategia, del superamento di una fase in cui la prima banca italiana per dimensione, si è ritrovata guidata da una strana squadra (l’ottantenne “tedesco” Giuseppe Vita, Luca di Montezemolo e Fabrizio Palenzona come vicepresidenti, Ghizzoni nell’eterno ruolo di “successore temporaneo” di Alessandro Profumo). Più passa il tempo, più la svolta all’UniCredit Tower non potrà che essere radicale: e potrebbe non essere sufficiente l’approdo scenografico di un top manager non italiano. Più passa il tempo, più Piazza Affari è portata a rispolverare soluzioni strutturali. Come ad esempio avvicinamenti con Mediobanca, altro gruppo che certamente non beneficia oggi del “cono di luce” che proviene da Palazzo Chigi, per quello che può illuminare e riscaldare. 



Ne è invece ben riverberata Intesa Sanpaolo, forse troppo: l’operazione Atlante è parsa rivestire nuovamente il gruppo ora presieduto da Gianmaria Gros-Pietro dei panni di “banca di sistema”. Quelli – per intenderci – del salvataggio Alitalia promosso dal futuro ministro Corrado Passera. Fra Mediobanca (di cui UniCredit è gancio strategico assieme al neo-padrone di Telecom, Vincent Bolloré) e Intesa Sanpaolo, c’è in questi giorni di mezzo – più o meno casualmente – la proprietà del Corriere della Sera. Oggetto di un’offerta da parte del gruppo Cairo che giusto ieri è diventata ancora più virtuale con il depotenziamento della gittata dal 51 al 35 per cento. Ma questa è un’altra storia. O forse no, nel più insolito fra i derby bancari sotto la Madonnina.