Entro il 2016 l’Ue deve decidere se concedere o meno alla Cina lo status di “economia di mercato”. Se non lo concederà, allora l’Ue manterrà il potere legale di porre barriere doganali nei settori dove la Cina pratica esportazioni in concorrenza sleale. Se dirà sì, invece, non potrà più farlo. Il tema è importantissimo per l’Italia, perché la maggior parte della concorrenza sleale cinese in Europa impatta sulla sua economia nazionale, dall’acciaio al settore alimentare, ponendo un rischio, secondo stime di Confindustria, di decine di migliaia di posti di lavoro persi se non fosse più possibile la tutela antidumping.
La scorsa settimana, c’è stata la bella sorpresa di un voto quasi unanime del Parlamento europeo per negare alla Cina lo status di “economia di mercato”. È stata una sorpresa perché nazioni rilevanti quali la Germania e la Francia erano e sono reticenti a generare frizioni con la Cina per timore di ritorsioni commerciali. Per esempio, semplificando, Parigi vende tecnologia nucleare a Pechino, che sta costruendo decine di reattori, e non ha tanti altri sbocchi commerciali nel mondo in questo settore. Berlino fa contratti politici per dare vantaggio alla penetrazione dell’industria tedesca in Cina ed evidentemente Pechino si aspetta un corrispettivo altrettanto politico. Londra persegue l’obiettivo di diventare il più importante centro di gestione della finanza in yuan e ha concordato recentemente investimenti cinesi nel Regno Unito per parecchi miliardi di sterline.
Bisogna poi considerare che il voto del Parlamento europeo ha un valore solo indicativo, pur importante, e che la decisione finale verrà presa dal Consiglio europeo, cioè dai governi. Per tale motivo, diversamente da altri commentatori, sarei più prudente nel dire che ormai l’orientamento europeo sia definitivo. Probabilmente c’è un lavoro diplomatico sotto traccia per trovare un compromesso.
Da un lato, il riconoscimento pieno non potrà essere dato a Pechino anche perché Washington ha fatto capire chiaramente che ciò porrebbe problemi alle relazioni commerciali euroamericane. Dall’altro, i governi europei citati non possono rischiare una rottura totale con la Cina, peraltro nemmeno quello italiano, considerando che Pechino ritiene automatico il riconoscimento dello status in base a un accordo del 2001.
Tale compromesso, probabilmente, riguarderà concessioni selettive alla Cina in alcuni settori. Se così, l’Italia dovrà monitorare con estrema attenzione che tali settori non siano quelli che penalizzano di più la sua economia e meno quella degli altri europei.