«La soluzione ai problemi Ue proposta dal governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, denota la sua tipica mentalità da burocrate. Le questioni di bilancio non vanno affidate a un organismo tecnico, ma a una commissione politica composta da membri del Parlamento europeo». È l’idea del professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie. In un’intervista su Repubblica, Weidmann ha sottolineato: “La Commissione Ue ricopre un duplice ruolo, molto difficile, verso il quale sono critico. Anch’io, come Wolfgang Schauble, penso che sarebbe opportuno creare una commissione indipendente incaricata di valutare con obiettività l’osservanza delle regole”.



Professore, è d’accordo con le proposte avanzate da Weidmann?

Weidmann di fatto sostiene che il meccanismo di funzionamento dell’Ue è sbagliato perché consente dei patti non scritti con mille clausole, per cui la decisione finisce per essere politica e non tecnica. La contrattazione politica sulle regole di bilancio è un assurdo, e su questo sono d’accordo con lui. Il problema è che la sua proposta è rimediare a questa situazione sostituendo un organo tecnico alla contrattazione politica.



Perché questo per lei è un problema?

Perché quello suggerito da Weidmann è un rimedio da burocrate. La questione infatti non è se a decidere sia la Commissione Ue o un’authority, ma se la decisione sia o meno automatica.

Quindi qual è la soluzione?

Il Parlamento Ue dovrebbe dare vita a una commissione composta da una parte dei suoi membri e da un comitato di esperti. Ma rimediare alle insufficienze dell’Ue con modelli di authority burocratica è una scelta pericolosa, che può fare comodo soltanto alla Germania. In questo modo infatti chi ha la maggioranza relativa finisce per comandare. È molto più democratico che la decisione sia affidata ai rappresentanti del popolo, mentre la commissione tecnica non dovrebbe svolgere la trattativa ma soltanto certificare i risultati.



Intanto secondo l’Istat nel 2016 gli investimenti in Italia cresceranno del 2,7%. Come valuta questo dato?

Stanno avendo effetto la politica di Draghi e quei fenomeni mondiali che hanno ridotto il prezzo delle materie prime. Nel complesso aumenta il potere d’acquisto dei consumatori. Di solito la politica monetaria, oltre a stimolare i consumi, dovrebbe incentivare anche gli investimenti.

Tutto ciò è avvenuto?

Finora la politica monetaria di Draghi è stata accusata di creare solo liquidità e non investimenti. Ora finalmente questa macchina si mette in moto, almeno per quanto riguarda gli investimenti privati. Quelli pubblici sono invece incastrati dalla bassa disponibilità di mezzi e dalla lentezza delle nostre istituzioni. In generale comunque dal momento che il tasso d’interesse è più basso, è più facile fare degli investimenti. La politica monetaria sta dunque cominciando a funzionare, anche se purtroppo non abbastanza.

 

Perché non abbastanza?

Perché il +1,1% del Pil previsto dall’Istat per il 2016 è un risultato modestissimo. Quello che penalizza l’Italia è che la nostra riforma del lavoro non funziona, e quindi dal punto di vista internazionale perdiamo quote di mercato. A ciò si somma una fase difficile per quanto riguarda le esportazioni verso i Paesi extra Ue. All’interno dell’Ue la Germania fa la parte del leone, mentre l’Italia è sempre meno competitiva.

 

Che cosa si attende dalla decisione della Commissione Ue attesa per venerdì sulla flessibilità richiesta dall’Italia?

Mi aspetto che la Commissione Ue ci conceda un po’ di flessibilità e in cambio ci faccia fare una piccola correzione. Bruxelles non vuole creare un caso con l’Italia proprio mentre è impegnata sui fronti di Brexit, Grecia e Libia. La scelta è quella dunque di rinviare a ottobre l’operazione per portare il rapporto deficit/Pil dell’Italia all’1,8%. Intanto si chiederebbe all’Italia una manovra correttiva pari allo 0,1% del Pil quest’anno e dello 0,75-0,8% l’anno prossimo.

 

(Pietro Vernizzi)