I produttori recalcitrano nel concedere aumenti salariali. Vincolano gli incrementi di reddito al miglioramento della produttività aziendale. Dicono: ottimizziamo i fattori della produzione, otterremo un aumento dei profitti, ne avrete un tornaconto. Sagaci! Prendiamo la palla al balzo, impariamo da loro: più produttività nel nostro lavoro di consumatori, così, magari, diventiamo pure grandi.
Aumentare la produttività della nostra azione per migliorare il rendimento dei redditi residui: questa la formula. Se do disciplina ai miei istinti, resisto alla variabilità della moda: scarto meno abiti, ne acquisto meno. Se metto a regime la dieta alimentare non ingrasso, non devo smaltire quel grasso, miglioro lo stato della mia salute, spendo meno: 4 piccioni con una fava.
Fermiamoci qui, già si sentono in giro allarmati vociare: “Così si affossa il Pil!”. Quelli delle grida cacofoniche non perdono il vizio: “La crescita non cresce!”. Ci sono pure quelli un po’ naif: “Così si da la stura alla crisi produttiva!”. Qualcuno aggiunge pure: “Aumenta la disoccupazione!”.
Esimi signori, proprio qui vi volevo: può una crescita economica trovare supporto nell’insipienza gestionale del nostro agire? Può la ricchezza trovare agio nella nostra incontinenza? Eh no signori, bisogna cambiare marcia! Da consumatori a operatori di mercato il passo è obbligato: si deve! Dal vizio alla virtù si può. Produttività per produttività, la soluzione eccola qua.
Qual è il valore della nostra fiducia in questo tempo di crisi sistemica? E il valore della nostra attenzione per coloro che la usano copiosamente? Senza la disponibilità del nostro tempo, viene meno il tempo del consumare? Voilà questi i nostri crediti, questo il loro debito. Confezioniamo un pacchetto offerta, tutt’altro che opaco e mettiamolo sul mercato.
Produttori e venditori, consumatori nuovi di zecca, dovranno fare domanda: nuova ricchezza verrà generata e…tutti felici e contenti. Ci sono imprese che già lo fanno e fanno affari: Ikea, le freepress, Groupon, Uber, Airbnb.