Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, sta certamente limando le Considerazioni finali che dovrà pronunciare fra una settimana. Quest’anno, fra l’altro, per la prima volta il “discorso sullo stato della nazione”, sul piano economico-finanziario e soprattutto bancario, non sarà letto a margine dell’approvazione del bilancio 2015 della banca centrale: già avvenuto entro il termine del 30 aprile, valido per l’intero Eurosistema.
Quello che dirà il 31 maggio Visco agli stati maggiori del governo economico, dell’impresa e del sistema bancassicurativo italiano, sarà quindi privo di ogni pretesto istituzionale: sarà una riflessione in pubblico di quello che – al di là di ogni valutazione – resta una figura-chiave nella supervisione diretta degli intermediari italiani, in prima persona e come rappresentante italiano nel consiglio della Bce.
Il ruolo del governatore in carica dal 2011 è parso perdere più peso e più smalto del dovuto e dell’atteso: al di là dell’avvio dell’Unione bancaria che ha trasferito a Francoforte le funzioni principali della vigilanza. Da un lato hanno inciso la presenza del suo predecessore Mario Draghi al vertice dell’Eurotower e le dialettiche legate alla parziale scissione della supervisione bancaria nel consiglio di vigilanza, oggi retto dalla francese Danièle Nouy. Dall’altro, indubbiamente, l’approccio centralizzatorio del premier Matteo Renzi si è fatto sentire mano a mano che è cresciuta l’instabilità nel settore creditizio domestico. Le quattro risoluzioni del 22 novembre hanno segnato uno spartiacque traumatico non solo nell’opinione pubblica (in particolare in quella dei risparmiatori “traditi”), ma anche nei rapporti fra Palazzo Chigi, il ministero del Tesoro e Palazzo Koch.
Il corso delle operazioni bancarie – sempre più dettate dall’emergenza e dallo scontro con l’Ue – e le scelte di politica creditizia hanno oggettivamente tenuto in disparte la Banca d’Italia: significativa la nascita di Atlante, fondo salva-banche, gestita direttamente dall’Acri, dal Tesoro e da Intesa Sanpaolo. Non da ultimo, su un dossier-Paese come l’ipotesi di aggregazione Banco Popolare-Bpm, è stato il governo a porre la propria fiducia, sovrastando Bankitalia. Su via Nazionale, d’altronde, ha alzato il tiro anche qualche Procura, mentre si allargano indagini giudiziarie e richieste di azioni di responsabilità su numerose banche in dissesto (da Etruria a Carife, da Popolare di Vicenza a Veneto Banca).
Il cahier di questi ultimi dodici mesi è dunque densissimo: e Visco difficilmente potrà perdere l’opportunità – forse l’ultima – di riportare la Banca d’Italia in posizione importante nella cabina di regia del riassetto bancario interno. Un riassetto che sta procedendo in misura crescente per polarizzazioni e conflittualità: forse gradite al premier-rottamatore, ma probabilmente non utili al sistema paese in cerca di stabilità e ripresa.
Proprio ieri alcuni rumor hanno rilanciato l’ipotesi che la ristrutturazione all’avvio in UniCredit con il ricambio dell’amministratore delegato possa maturare anche con un avvicinamento a Mediobanca, Uno scenario fra tanti – grandi e meno grandi – aperti dal progressivo indebolimento del sistema bancario. Uno scenario che un governatore del passato (certamente l’ultranazionalista Antonio Fazio) avrebbe frenato, così come fece per l’ipotesi di aggregazione milanese fra lo stesso UniCredit e Banca Intesa. A posteriori il giudizio su quel governatore forte e interventista è negativo per questo più che per la successiva difesa della Popolare di Lodi su Antonveneta o degli immobiliaristi su Bnl. Oggi altrettanto danno può fare un governatore totalmente depotenziato e incapace di orientare – dal punto di vista della vigilanza – operazioni che non possono essere lasciate alla politica spicciola, tanto meno in campagna elettorale permanente.