«Privatizzare le migliori imprese italiane come raccomanda il Fondo monetario internazionale non produrrebbe affatto conseguenze positive per la nostra economia. Il nostro principale problema è infatti che l’incremento della domanda interna va tutto a vantaggio di prodotti d’importazione». Lo afferma Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano. Nell’ultima lettera del Fmi al governo italiano si ritoccano al rialzo le stime per il Pil nel 2016, che passa dal +1% al +1,1%. Il Fondo monetario invita però a fare di più per tagliare il debito pubblico, anche attraverso un “ambizioso” programma di privatizzazioni.
Professore, il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?
I numeri sono da bicchiere mezzo vuoto. Esultare perché il Fmi prevede che il Pil sia dell’1,1% anziché dell’1% mi sembra un po’ eccessivo. Nella fattispecie il Fmi brilla per mancanza di chiarezza. Se oltre a raccontare che l’entità delle riforme è stata straordinaria spiegasse come mai grazie a delle straordinarie riforme non abbiamo una straordinaria crescita, forse avrebbe reso un buon servizio.
Con l’attuale situazione internazionale è davvero possibile una crescita straordinaria?
Noi abbiamo bisogno di una crescita che sia quantomeno molto buona. Se perché ciò si realizzi dobbiamo aspettare un decennio, come prevede il Fmi, significa che oramai siamo al di là del periodo di stagnazione della Grande Depressione. Per fortuna a differenza di quegli anni bui abbiamo quel tanto di Welfare state che ancora resiste. Se l’obiettivo è quello di privatizzare ulteriormente la nostra economia, non sono certo auspici che facciano ben sperare.
Chi finirà per trarre i benefici di questo invito a privatizzare?
Privatizzare oramai rischia veramente di essere un boomerang. Nel primo trimestre 2016 il Pil italiano è cresciuto dello 0,3%. Dal lato della domanda vi è un contributo positivo della componente nazionale e uno negativo della componente estera netta. Nel primo trimestre il dato positivo del Pil è stato trascinato dall’aumento della domanda interna, e questo è un bene. Ma è nuovamente un bene a metà, perché una parte di questo incremento è legato infatti al rinnovo del parco circolante. Ciò va infatti a sposarsi con il deterioramento della componente delle esportazioni, che è negativa. Se noi consumiamo di più, ma soltanto importando dall’estero, le cose vanno un po’ meno bene.
Che cosa c’entra tutto ciò con le privatizzazioni?
Non posso fare a meno di ricordare che non abbiamo più un’industria nazionale dell’auto, e questo fa la differenza. La Fiat se ne è andata dall’Italia dopo avere assorbito dalla comunità una quantità enorme di risorse. Se si aggiunge il fatto che oggi le belle aziende italiane sono a buon mercato, il piano di privatizzazione mi fa un po’ paura. Si darà qualche soldo allo Stato, ma le aziende che producono per la domanda interna diventano straniere. L’Italia quindi ne beneficerà soltanto in minima parte. Quello che non condivido è la logica in base a cui se ci comprano gli altri va sempre bene, mentre se noi andiamo all’estero a comprare qualche azienda non va più così bene.
Che cosa ne pensa dell’invito del Fmi a “rafforzare la capacità delle banche a sostenere la ripresa”?
C’è un non detto che mi preoccupa. Non vorrei che si alludesse alla possibilità di pignorare la casa a chi non paga una rata del mutuo. Questa è un’ipotesi che è stata ventilata più volte: non credo che ciò rafforzerebbe il mercato immobiliare in Italia. Anche perché quello di gestire gli immobili non è il mestiere delle banche.
(Pietro Vernizzi)