La montagna del caso UniCredit ha partorito il classico topolino? Il comunicato con cui il cda dell’altra sera ha annunciato che l’amministratore delegato Federico Ghizzoni lascerà la banca ha lasciato quest’impressione in più di un osservatore. Tuttavia quello che è contato, ieri, è stato un spunto positivo (+2,42%) finalmente al di sopra dei 3 euro. Questo era l’obiettivo – apparentemente minimo, apparentemente raggiunto – del forcing dei grandi soci sul Ceo: dare al mercato un pretesto per non colpire più il titolo del primo gruppo bancario italiano. Il presidente Giuseppe Vita, consiglieri, manager, dipendenti e “popolo UniCredit” assortito potranno quindi dedicarsi al fine settimana unico della finale milanese di Champions League (di cui la banca è main sponsor). Resta il fatto che UniCredit – in questa fase – fatica a competere perfino nel suo campionato nazionale, dove ha clamorosamente mancato la garanzia dell’Ipo Popolare di Vicenza.
Ci ha pensato comunque la Stampa, ieri, a denunciare nuovamente in prima pagina un duro attacco alla “crisi di UniCredit”. Le cui “radici” sarebbero da ritrovare nel ruolo ormai superato delle Fondazioni Cariverona e Crt, fondatrici del gruppo. La “narrazione” della Stampa – fra retroscena e prospettiva – vedrebbe quindi i fondi di mercato impegnati a disincagliare UniCredit, che sarebbe invece tenuto nel passato dalle Fondazioni, arroccate attorno a Ghizzoni. Il corollario di questo storytelling sarebbe l’autocandidatura al vertice UniCredit del vicepresidente Luca Cordero di Montezemolo, in rappresentanza del fondo sovrano di Abu Dhabi (Montezemolo è stato a lungo presidente della Fiat e della stessa Stampa). L’alternativa – sempre per la presidenza – sarebbe quella di Lucrezia Reichlin, l’economista della London School of Economics che nel cda di Piazza Gae Aulenti, rapprsenta il mercato: i grandi fondi a cominciare dal gigante Blackrock, che in UniCredit ha il 5% circa.
Ma in via di selezione, nelle prossime settimane, non sarà la figura del Presidente. Vita, anzi, avrà come l’altra sera il compito di guidare la governance nella selezione del nuovo top manager. Chi sarà? Ma soprattutto: per fare cosa? UniCredit vorrà restare in Champions League, ma sempre più relegata nei turni preliminari, oppure vorrà ripartire rivincendo la serie A italiana? Nel primo caso non è imprevedibile la chiamata di un banchiere internazionale, forse non italiano, incaricato di ricapitalizzare la banca e rilanciarla nel campo “paneuropeo”. Nel secondo caso non sarebbe da escludere un break up delle attività austrotedesche (zavorrate da molti asset rischiosi e in perdita) e – ad esempio – una centralità data a Fineco, banca retail molto proiettata sul digitale.
Oppure ancora: un avvicinamento fra UniCredit e Mediobanca-Generali potrebbe essere messo allo studio, anche se l’idea è nata ancora nel secolo scorso. Ma le banche d’affari chissà quante opzioni si accingono a proporre al nuovo top manager. Il quale però dovrà rispondere anzitutto ai grandi soci: che finora hanno lavorato a tempo pieno per settimane, sotto i riflettori della Borsa e dei media, soltanto per preannunciare il cambio di Ceo. Nel frattempo – come in Champions League – contano solo i risultati: dopo aver arrestato sul Piave dei 3 euro una ritirata del 70% al listino nell’ultimo annus horribilis, il nuovo capo-azienda dovrà fissare asticelle e superarle possibilmente al primo tentativo.