Dati Istat contrastanti per quanto riguarda il commercio al dettaglio. Nel mese di marzo si registra una tendenza negativa rispetto a febbraio, con un -0,6% in valore e un -0,8% in volume, mentre rispetto a marzo 2015 la performance delle vendite è rispettivamente del +2,2% e del +1,9%. La variazione media del trimestre gennaio-marzo è nulla in valore e del +0,1% in volume. Intanto nel suo primo discorso da presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia ha affermato: “La nostra economia è senza dubbio ripartita, ma non è in ripresa. È una risalita modesta, deludente, che non ci porterà in tempo brevi ai livelli pre-recessione. Le conseguenze della doppia caduta della domanda e delle attività produttive sono ancora molto profonde”. Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.
Lei come legge i dati contrastanti sul commercio al dettaglio?
Sono dati che indicano una semi-stagnazione. Il dato positivo rispetto all’anno scorso si spiega ampiamente con la deflazione, cioè con il fatto che c’è un maggiore potere d’acquisto in quanto i costi delle importazioni sono minori. A ciò vanno aggiunti anche i benefici derivanti dal ribasso dei prezzi delle materie prime. Di fatto quindi il dato complessivo sul commercio al dettaglio non è positivo, e la manovra del governo non ha prodotto gli effetti sperati.
Perché dice che gli effetti prodotti dalla manovra sono insufficienti?
Una parte consistente della liquidità che dovrebbe derivare dal deficit di bilancio si traduce in un aumento percentuale inferiore. Il rapporto deficit/Pil nel corso del 2015 è stato infatti del 2,6%, mentre il commercio al dettaglio su base annuale registra il +2,2% in valore e il +1,9% in volume. Invece di un moltiplicatore, abbiamo quindi un demoltiplicatore.
A che cosa è servito il deficit della legge di stabilità?
Una parte notevole delle iniezioni di liquidità sono servite alle famiglie per ridurre i propri debiti. Le persone hanno paura perché sono in larga misura disoccupate. Nello stesso tempo c’è preoccupazione per il bilancio pubblico, per i carichi fiscali futuri, per annunci veri e falsi che disorientano. La stessa allerta terrorismo induce a viaggiare di meno, a rimanere di più in casa, a spendere di meno in divertimento, perché c’è minore desiderio di vivere all’aperto.
Come valuta la politica economica del governo?
In tutto questo quadro il governo ha fallito la sua missione. Le sue dichiarazioni ottimistiche non sono più considerate attendibili perché ci sono troppi annunci e pochi fatti. C’è disorientamento anche rispetto a eventuali oneri fiscali, e di conseguenza c’è una stagnazione se non un regresso congiunturale della domanda di consumi, e un aumento rispetto all’anno scorso che è di molto inferiore rispetto a quello che ci si dovrebbe attendere.
Per Boccia non siamo ancora in ripresa. È d’accordo con lui?
La diagnosi di Boccia è corretta. Secondo le valutazioni del Fmi, si tornerà ai livelli pre-crisi della produzione manifatturiera non prima del 2020 se non nel 2025. A ciò si aggiunge un rallentamento dell’economia inatteso. Cresciamo meno degli altri Paesi Ue, al punto che stiamo retrocedendo pericolosamente. Il turismo non cresce a sufficienza da compensare le capacità di ripresa della produzione industriale, che risulta comunque più competitiva al di fuori dell’Ue che non al suo interno. Noi stiamo perdendo colpi per quanto riguarda le esportazioni verso gli altri Paesi dell’Eurozona, mentre siamo competitivi all’esterno.
Quindi Boccia fa bene a fustigare i professionisti dell’ottimismo?
Sì, ma anche Confindustria ha le sue responsabilità. Finora l’associazione di categoria degli industriali ha sostenuto una sorta di modello neo-corporativo, anziché i contratti aziendali e una deregolamentazione del mercato del lavoro. Non si è occupata abbastanza dell’internazionalizzazione della nostra economia, creando associazioni in grado di sostenerla come avviene in Germania. Si è collegata molto al governo, non ha chiesto privatizzazioni rilevanti ed è sembrata timida nell’unire i suoi sforzi a quelli del capitale internazionale. Ha inoltre praticato l’intesa furbastra con la sinistra.
(Pietro Vernizzi)