Cala la fiducia dei consumatori, aumenta quella delle imprese. Secondo gli ultimi dati Istat, il clima di fiducia dei consumatori scende dal 114,1 di aprile al 112,7 di maggio. Nello stesso periodo la fiducia delle imprese sale da 102,7 a 103,4. Nel suo discorso di insediamento, il neo-presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, aveva detto: “La nostra economia è senza dubbio ripartita, ma non è in ripresa. È una risalita modesta, deludente, che non ci porterà in tempo brevi ai livelli pre-recessione. Le conseguenze della doppia caduta della domanda e delle attività produttive sono ancora molto profonde”. Ne abbiamo parlato con Guido Gentili, editorialista ed ex direttore de Il Sole 24 Ore.



Che cosa occorre perché ci sia una vera ripresa?

Occorre rimettere mano alla politica economica, mettendo in cantiere una strategia che sia compatibile e che abbia come obiettivo una crescita maggiore. Da 20 anni l’Italia cresce meno dei Paesi concorrenti. Questo ci dà la necessità di dover invertire la tendenza. Il governo Renzi ha messo in campo un variegato ventaglio di scelte di politica economica: i bonus, il Jobs Act, la decontribuzione per il lavoro, il superammortamento per le imprese. Sono state fatte tante cose, e quindi la manovra del governo non può essere liquidata come inutile o addirittura dannosa.



Che cosa ci resta da fare a questo punto?

Ciò che occorre a questo punto sono misure fiscali importanti per favorire la crescita, trovando nello stesso tempo le giuste coperture finanziarie. Non possiamo immaginare di mettere in campo una politica che non abbia una copertura finanziaria. Dobbiamo quindi tenere conto del quadro europeo e del problema del debito, facendo però in modo di trovare le risorse per fare decollare questa ripresa che al momento è deludente, come dice il neo-presidente di Confindustria Vincenzo Boccia.

Ritiene che anche il debito sia un problema che vada affrontato?

Il debito è la palla al piede che noi abbiamo, e che ci impedisce di attuare delle politiche di crescita. D’altra parte la bassa crescita fa aumentare il rapporto debito/Pil. La soluzione passa dalle privatizzazioni, rispetto a cui siamo in ritardo, ma anche della dismissione del patrimonio pubblico immobiliare, che ammonta a circa 400 miliardi.



Come potrebbero essere utilizzati questi 400 miliardi?

Questa somma ci potrebbe dare delle opportunità importanti, per esempio se noi sfruttassimo le risorse disponibili per rilanciare gli investimenti in infrastrutture di cui questo Paese ha bisogno. Occorre fare crescere il tasso di occupazione, che è di dieci punti inferiore rispetto alla media dei Paesi Ue. Va attuato un allargamento delle risorse, del mercato e delle opportunità. Ciò vale anche per gli investimenti, che non devono riguardare solo le grandi opere pubbliche. Queste ultime servono, in quanto abbiamo un sistema della logistica che presenta molti buchi e difetti. Abbiamo dunque bisogno delle “attrezzature” dal punto di vista infrastrutturale, soprattutto nel Mezzogiorno. Sono però soprattutto i privati che vanno messi nelle condizioni di investire.

 

Privatizzare non rischia di privarci dei “gioielli di famiglia”?

Ci sono ampi spazi per privatizzare ancora in questo Paese. Ci possono essere poi dei momenti in cui conviene di più o di meno a seconda delle condizioni del mercato, ma questa è una valutazione di opportunità congiunturale. Quando parliamo di privatizzazioni non dobbiamo pensare soltanto alle Poste, nelle quali sono investiti i risparmi degli italiani, con un discorso di opportunità generale. La vera privatizzazione deve riguardare il cosiddetto “capitalismo municipale”, cioè le oltre 2mila imprese pubbliche che lavorano sul territorio e sono controllate dallo Stato. Più che ricchezza infatti, queste imprese spesso producono soltanto poltrone e scambi impropri con la politica.

 

(Pietro Vernizzi)