Federico Ghizzoni dice al Corriere della Sera di “avere un’idea” sulla sua successione come amministratore delegato di UniCredit. Nulla dice invece – cioè evita di farsi chiedere – sulla disastrosa ritirata dalla garanzia all’Ipo della Popolare di Vicenza: la goccia che ha fatto traboccare il vaso dei grandi azionisti e dei mercati e decretato la fine della lunga stagione al vertice della maggiore banca italiana. Un po’ colpo di coda, un po’ calcio del mulo, la sua intervista merita più commenti nel metodo che nel merito: come zeitgeist dell’Italia odierna, non solo bancaria.
Quando Ghizzoni ricorda che il titolo UniCredit a novembre era a 6 euro (nei giorni scorsi ha toccato il minimo di 2,7) sottolinea, ad esempio, che “molte cose sono avvenute, come le risoluzioni delle quattro banche, il problema degli Npl in Italia”. Ma poi lascia scorrere via per inciso il suo piano industriale cui il mercato non ha creduto per un solo istante e una sola virgola. Dice giustamente che una banca come UniCredit “non può restare esposta agli articoli di stampa”, ma gioca sull’equivoco: quelli che hanno minato la reputazione di UniCredit e del suo Ceo non sono quelli di Financial Times e del Wall Street Journal che stanno ordinando un ribaltone completo del top management a favore di un “Papa straniero” e al servizio di una maxi-ricapitalizzazione; quanto le intercettazioni giudiziarie pubblicate lo scorso autunno dal Fatto Quotidiano.
Lì è stato evidente – attorno al ruolo del vicepresidente Fabrizio Palenzona – che la governance di Piazza Gae Aulenti, fra board e dirigenza, era gravemente degradata nei meccanismi e nei rapporti personali: e la credibilità di Ghizzoni era azzerata soprattutto all’interno del gruppo. Non per questo a Ghizzoni non è stato riservato molto più che l’onore delle armi. Prima ancora che un’intervista auto-assolutoria di alta prammatica sul quotidiano di via Solferino, c’è stato il comunicato di martedì: righe e righe di ringraziamenti in calce a un annuncio che non conteneva la parola “dimissioni”, lasciava a Ghizzoni le deleghe piene e non fissava neppure una scadenza per la scelta del nuovo amministratore delegato.
Nessuno – dopo gli ennesimi cedimenti al listino -può ora credere che veramente il turnaround di Piazza Gae Aulenti (come il trasloco l’erfrou frou dell’era Ghizzoni ha rinominato l’ormai antica Piazza Cordusio) possa iniziare mercoledì 1 giugno con una pigra riunione del comitato nomine: con l’ottantenne presidente siculo-tedesco Giuseppe Vita, con personaggi come Francesco Gaetano Caltagirone (ex vicepresidente di Mps) o Luca di Montezemolo, che non rappresenta certo il fondo Al Aabar.
Nessuno può credere che possa avere voce in capitolo Ghizzoni, proponendo magari uno dei suoi pretoriani Paolo Fiorentino o Giovanni Francesco Papa. Nessuno può pensare che la “narrazione di UniCredit” – conclusa con l’ultima intervista di Ghizzoni nel giorno della finale Champions League – possa essere ancora affidata part-time al presidente pro-tempore della Lega Calcio, Maurizio Beretta.
La partita, com’è uso, dire, è appena iniziata. Ma è difficile pronosticare se durerà 50 giorni o addirittura fino a settembre, come anche Ghizzoni forse gradirebbe.