Ieri mattina – all’indomani dell’esito poco felice dell’operazione Atlante-Popolare Vicenza e alla vigilia dell’ennesimo crollo dei titoli bancari in Piazza Affari – il principale quotidiano economico italiano ha posto in prima pagina alcune questioni. La prima ha riguardato i limiti dimensionali e strategici subito evidenti in Atlante, il fondo nazionale salva-banche appena diventato padrone della Banca Popolare di Vicenza; e l’opportunità-necessità conseguente di allargare la platea degli investitori nei diversi distressed asset delle banche italiane. Un secondo focus ha toccato il nervo scoperto dalla decisione – più o meno tecnicamente obbligata per Borsa Italiana – di cancellare la prevista quotazione in Borsa della nuova Popolare di Vicenza Spa.



Entrambe le questioni erano e restano fondate. Poco convincenti sono parse invece le risposte fornite dal quotidiano su ambedue i temi. Da un lato il column si è concentrato nell’auspicare/sollecitare l’intervento della Bei: un’entità para-pubblica dell’Unione europea (in italiano un “carrozzone”, mai protagonista di nulla in Europa). Non un accenno, invece, alla possibilità che in Atlante possano trovar spazio i grandi e brillanti assenti fra i 67 partecipanti a un fondo consortile domestico: gli investitori internazionali, anzitutto quelli specializzati in interventi ad alto rischio come il rilancio di banche dissestate e il riciclo dei loro non performing loans. Nella presentarsi al mercato, venerdì scorso, i vertici di Atlante hanno citato 14mila fondi operanti nel mercato del distressed debt: c’era davvero bisogno di un “fondo nazionale italiano”, non specializzato e messo in mare in fretta e furia contro il mercato globale? E perché rastrellare a fatica qualche milione da Cattolica d’assicurazione o Istituto centrale delle banche popolari e ignorare a priori le centinaia di milioni sventolati da mesi allo stesso tavolo operatori come Fortress o Apollo? La stessa Cassa depositi e prestiti – longa manus pubblica in Atlante – ha costituito fondi d’intervento chiamando operatori internazionali: nel fondo infrastrutturale F2I c’è il colosso cinese Cic e un fondo pensioni coreano, in F2I reti i fondi sovrani del Golfo. Perchè un hedge fund – il massimo del mercato – è nato con il massimo della chiusura al mercato?



Non sorprende che il mercato abbia finito per lasciare ad Atlante tutti i rischi e gli oneri di quella che poteva essere un’opportunità. Il quotidiano italiano non manca di dolersene, anche se con un’attenzione un po’ sfuocata: la “beffa finale” per i soci della Vicenza, impossibilitati a liquidare infine sul mercato le loro azioni ormai quasi azzerate (da 62, 5 a 0,1 euro). Ma il tema vero non riguarda lo zero-virgola del nuovo azionariato della Popolare, per quanto tartassato, ma il 99-e-oltre ora congelato in Atlante.

La non quotazione in Borsa era un esito inevitabile? Perché il collocamento istituzionale – formalmente affidato a UniCredit, Mediobanca, Deutsche Bank e Bnp Paribas non ha prodotto nulla di nulla? Di più: perché è stata lasciata cadere nel nulla la prenotazione di Mediobanca sul 5% della Vicenza, mattone minimo ma non irrilevante per la possibile costruzione di un azionariato plurale, in grado di affrontare il listino? Questione finale: la paura del mercato (comprensibile, ma anche “autoprodotta”) ha impedito di verificare se qualcuno fosse intenzionato a lanciare sulla Vicenza un’Opa a 0,101 euro. C’era la certezza che questo non sarebbe avvenuto e che Atlante avrebbe quindi rischiato di perdere il primo giorno qualche decina o centinaia di milioni? Oppure, al contrario, c’era il timore che qualche “avvoltoio” chiamasse “vedo” al tavolo della Vicenza? Ma chi può decidere chi è “avvoltoio” e chi no fra hedge fund uguali su uno stesso mercato? Il rischio – puntalmente avverato – è che la partita non si disputi neppure: che il mercato “degli avvoltoi” se ne vada a giocare altrove, dove non ci sono buoni e cattivi designati in partenza, E dove, peraltro, non è affatto detto che chi “vince” (come Atlante sulla Vicenza), sia un vero “vincitore”.



Undici anni fa, riguardo una banca basata a trenta chilometri da Vicenza, i quotidiani italiani compatti tifavano per l’Opa estera di un gruppo olandese: il “cattivo” era una Popolare della pianura padana. Nel 2016 tutti – banche, fondazioni, assicurazioni, Cdp, Tesoro e giornali – sono schierati a difesa di un’altra Popolare del nord sull’orlo del bail-in. Ma attorno di barbari o tartari non c’è neppure l’ombra. È rimasto solo il deserto.