«Il Pil italiano per il 2016 era stato stimato inizialmente pari all’1,6%, ora di decimale in decimale è stato rivisto a poco sopra l’1%. Così ci siamo mangiati sia il margine di flessibilità che la Commissione Ue concede senza deroghe, sia quello che il governo ha chiesto con deroghe». Lo evidenzia il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie. Ieri la Commissione Ue ha diffuso le previsioni di primavera che tagliano le stime sul Pil nel 2016 dal +1,4% al +1,1%. Nel Def il governo italiano ha previsto che il Pil nel 2016 cresca dell’1,2%. Per la Commissione Ue nel 2016 il rapporto deficit/Pil sarà del 2,5% e quello debito/Pil del 132,7%.
Professore, il +1,1% della Commissione Ue non si discosta molto dal +1,2% del Def. È una promozione del governo Renzi?
La Commissione Ue rettifica dello 0,1% le previsioni del governo. Considerando l’attuale situazione in cui la stabilità dei bilanci pubblici è garantita dagli zero virgola, anche lo 0,1% in meno è estremamente importante. In questo modo si sfora ulteriormente rispetto al massimo previsto dal governo, rendendo necessaria una manovra correttiva. Ci vorrà quindi quantomeno una manovra correttiva dello 0,1-0,2%.
Quali sono le conseguenze per deficit e debito?
L’arretramento dello 0,1% implica che si cresca un po’ meno in termini reali, e quindi che il rapporto debito/Pil aumenti. C’è il rischio che quest’anno non si abbia una riduzione del rapporto debito/Pil. Le stime del Pil riviste al ribasso fanno sì che non avremo una riduzione del rapporto debito/Pil, oppure avremo una riduzione così contenuta che mercati e Commissione Ue non lo considereranno rilevante. Ci troviamo quindi ad affrontare una situazione pericolosa, in quanto in Italia è in atto un recupero e non una ripresa nel senso dello sviluppo. Manca il rafforzamento tipico di quando è in atto una ripresa come sviluppo e non come recupero.
In fondo che cosa cambia tra 1,2% e 1,1%?
Inizialmente si era pensato che il tasso di crescita di quest’anno fosse dell’1,6%. Quindi si è rettificato il dato in un intervallo tra 1,2 e 1,5%. Questo intervallo nel tempo si è sempre più assottigliato, e adesso siamo poco sopra l’1%. Così ci siamo mangiati sia il margine di flessibilità che la Commissione Ue concede senza deroghe, sia quello che il governo ha chiesto con deroghe. Adesso quindi si affaccia sempre più la necessità di una manovra correttiva, e questo vuole dire che la Commissione Ue ritiene che gli obiettivi di deficit non sono rispettati.
Ultimamente i rapporti tra Renzi e Ue sembrano essere più pacifici. Significa che hanno trovato la quadra e che la Commissione Ue concederà la flessibilità all’Italia?
Non so se l’Ue abbia o meno trovato la quadra in questo periodo internazionale difficile. Il punto fondamentale non è però quello che stabilisce la Commissione Ue, bensì quello che gli osservatori economici registrano sia all’interno che all’esterno della zona euro. In questo momento, per esempio, i giudizi di Moody’s sono molto negativi, e tutto ciò si ripercuote sul problema bancario.
In che modo?
Il nostro debito pubblico si ripercuote sulla solidità delle nostre banche per via dei giudizi negativi sia da parte di Moody’s che della Bundesbank e dell’ambiente finanziario tedesco nel suo complesso. Da un lato quindi c’è il bilancio dello Stato che scricchiola perché non si riduce il rapporto debito/Pil. Dall’altro le sofferenze bancarie non sono eliminate.
Questo si riflette anche sulle scelte degli azionisti?
Sì, perché gli stessi azionisti non sottoscrivono gli aumenti di capitale delle banche. Gli azionisti sono stati scottati dal bail-in che si è inventato il governo italiano per salvare gli ori di famiglia della Banca Etruria a discapito degli obbligazionisti. Le manovre fiscali del governo sono quindi essenziali per la solidità del nostro sistema. Non si può pensare che questi problemi si risolvano con una chiacchierata con la Merkel o con il Commissario Ue Moscovici.
(Pietro Vernizzi)