Cosa sta succedendo in Germania? Anzi, riformuliamo meglio la frase: cosa sta succedendo alla Germania? Viene da chiederselo perché pare che il Paese non solo sia più disorientato e insicuro ogni giorno che passa, ma molti segnali rimandano la chiara immagine di un esecutivo, quello guidato da Angela Merkel, incapace di governare le emergenze e sempre più scollegato dai suoi cittadini. L’ultimo esempio risale al primo maggio scorso, quando a Zwickau, in Sassonia, si è tenuta una manifestazione dei lavoratori. Alla quale avrebbe dovuto partecipare il vice-cancelleire socialista Sigmar Gabriel, in qualità di oratore dal palco. A causa di una malattia, però, ha dato forfait ed è stato sostituito dal ministro della giustizia Heiko Maas, sempre socialista.
Salito sul palco, ha iniziato un discorso a favore dell’accettazione dei migranti e della loro integrazione, ma non è riuscito a finire. La folla, inferocita, ha iniziato a contestarlo in maniera decisa, fino a impedirgli di continuare il discorso. A quel punto la polizia ha temuto il peggio – alcuni manifestanti si stavano minacciosamente avvicinando al palco – e hanno provveduto a portare via il ministro. E non è la prima volta che nella parte orientale del Paese le istituzioni vengono contestate a causa delle loro politiche migratorie. Un episodio analogo era successo a Heidenau, sempre in Sassonia, la Cancelliera Angela Merkel aveva subito contestazioni analoghe quando vi si era recata per condannare episodi di violenza scoppiati giorni prima contro i centri di accoglienza.
Ma l’emergenza è così alta da arrivare a reazioni simili? Occorre guardare bene a cosa sta accadendo alla società tedesca. A fronte di tanti record positivi vantati dalla locomotiva d’Europa, esiste infatti un dato alternativo della Germania che mostra un tasso di povertà ai massimi dalla riunificazione: il 15,5%. A dipingerlo, basandosi sui dati del 2013, è stata l’associazione no-profit Paritätischen Gesamtverbandes: ben 12 milioni e mezzo i tedeschi che vivono sotto la soglia di povertà relativa, con un’incidenza particolare negli Stati federali settentrionali di Brema, della Pomerania Occidentale e di Berlino. Netto il divario con i Land meridionali, come la Baviera, tanto che la numero uno dell’associazione, Ulrich Schneider, si spinge a parlare addirittura di una “Repubblica lacerata”: «La povertà in Germania non è tanto un problema economico, quanto piuttosto il risultato di omissioni politiche. Questo va detto chiaramente. Abbiamo la possibilità di combattere questa povertà dato che siamo il quinto Paese più ricco del mondo, ma è ovvio che abbiamo enormi problemi di redistribuzione in tempi di prosperità crescente».
Tra le categorie più a rischio il rapporto menziona i pensionati, le persone con un basso livello di scolarizzazione, le madri single e soprattutto i disoccupati, nonostante gli ammortizzatori sociali. Anche chi lavora, però, non sembra essere completamente al riparo: circa 3,1 milioni di tedeschi incassano un salario che si colloca al di sotto della soglia di povertà relativa. Certo, essendo la Germania una nazione ricca, la parola “relativa” fa sì che, per un single, basti guadagnare meno di 892 euro per essere classificato come povero; 1.873 nel caso di una famiglia di quattro persone.
Cifre che, senza dubbio, appaiono alte e tutt’altro che allarmanti per chi vive nei Paesi della cosiddetta periferia dell’eurozona, ma non fatevi ingannare. Oltre il 40% degli occupati tedeschi, infatti, lavora con i Miniarbeit, ossia contratti di lavoro con emolumenti tra i 450 e i 750 euro al mese, oltre il 12% dei pensionati è sotto la soglia della povertà e un milione di tedeschi mangia alle mense caritative. E l’economia è lo specchio di queste cifre: a marzo, infatti, in Germania le vendite al dettaglio sono diminuite dell’1,1% rispetto al mese precedete e sono aumentate dello 0,7% su base annua. Lo rende noto Destatis. Il dato congiunturale è peggiore delle attese che stimavano un aumento dello 0,5%, mentre nel primo trimestre dell’anno le vendite al dettaglio sono aumentate dell’1,6% rispetto ai primi tre mesi del 2015.
E che la gente stia per esplodere, che larghe parti del Paese – soprattutto nell’ex Ddr – siano delle vere e proprie polveriere, il governo lo ha capito, almeno nella sua componente più realista e alle versioni ufficiali rispetto alla necessità dell’accoglienza – anche per il bene dell’economia tedesca – contrappone fatti e opere che parlano la lingua esattamente contraria, di fatto quella che il popolo vuole sentire. Già, perché se da un lato la Germania sta dimostrandosi quantomeno accomodante verso la Turchia, tanto da aver modificato il testo del Don Giovanni di Mozart in scena in un teatro di Berlino per non urtare la sensibilità di Erdogan e soci, dall’altro sta ragionando in fase avanzata su una cosiddetta “legge sull’Islam”, la quale non solo limiterà l’influenza degli imam stranieri operanti su territorio tedesco e proibirà il finanziamento estero per le moschee, ma è stata proposta da un pezzo da novanta come Andreas Scheuer, segretario generale della Csu bavarese. E questa nuova legge, almeno nelle intenzioni attuali, metterà nel mirino proprio e soprattutto Ankara.
Il governo turco, infatti, ha mandato in Germania 970 religiosi – la gran parte dei quali non parla tedesco – per dirigere le 900 moschee tedesche che sono direttamente controllate da una branca del Directorate for Religious Affairs (Ditib) dell’esecutivo turco, di fatto facendoli operare come civil servants a suo nome. Di più, recentemente si è scoperto che Ankara paga lo stipendio a quasi mille imam conservatori che guidano le principali moschee del Paese, oltre che finanziare la costruzione della Grande Moschea di Colonia, questo dopo che l’Arabia Saudita ha confermato l’intenzione di finanziare la costruzioni di altri 200 luoghi sacri in Germania. Per Scheuer, la faccenda deve finire: «Dobbiamo essere più critici nei confronti dell’islam politico, dobbiamo vietare il finanziamento estero delle moschee e gli imam dovranno essere preparati in Germania e dovranno condividere i nostri valori base».
Oltretutto, stando a quanto riportato da Die Welt, Erdogan ha aumentato i fondi a disposizione del Ditib, il quale oggi ha un budget di 1,8 miliardi di euro, più di quello a disposizione dei 12 ministeri turchi messi insieme e che impiega alle sue dipendenze 120mila persone, quando nel 2004 erano 72mila. Insomma, una sorta di indottrinamento di Stato nel cuore d’Europa, cosa che non stupisce perché proprio Erdogan durante una visita in Germania nel febbraio 2011 disse che «l’assimilazione è un crimine contro l’umanità e una violazione dei diritti». Quindi, più ghetti islamici per tutti. Lo scorso 11 aprile, inoltre, il capo dell’intelligence interna (BfV), Hans-Georg Maassen, dichiarò che «molte moschee in Germania sono dominate da fondamentalisti e sono state monitorate per il loro orientamento salafita», prima di parlare chiaro e tondo di ingenti finanziamenti e donazioni dall’Arabia Saudita.
La legge, che dovrebbe essere completata entro il 24 maggio prossimo, imporrà anche corsi di tedesco e di integrazione che se non verranno seguiti comporteranno il taglio dei benefit per i richiedenti asilo e la proibizione per gli stessi di decidere dove vivere in attesa del pronunciamento governativo, questo proprio per evitare lo svilupparsi di nuovi ghetti. Ma per Scheuer non è ancora abbastanza: «Il messaggio deve essere chiaro: chi non è integrato, non può restare in Germania e deve essere espulso. Dobbiamo smettere di avere una visione romantica dell’integrazione, il multiculturalismo ha fallito».
Che farà la Merkel, si tirerà indietro per paura di Erdogan o avrà più paura del contraccolpo elettorale che potrebbe subire? Tanto più che, durante la seconda giornata del suo congresso a Stoccarda, Alternative fur Deutschland ha lanciato il “manifesto anti-Islam”, nel quale si chiede il bando ai minareti sulle moschee, al richiamo alla preghiera del muezzin, al velo integrale per le donne e ai foulard per le ragazze nelle scuole. «L’islam non è parte della Germania», si legge nell’opuscolo e il co-leader del partito, Joerg Meuthen, ha ulteriormente alzato i toni, auspicando «una moderna forma di conservatorismo e di sano patriottismo per evitare una deriva della Germania come nel 1968, quando era infettata dalla sinistra rosso-verde». Giova ricordare che si tratta del terzo partito del Paese con circa il 13% di supporto. Percentuale certamente destinata a crescere se saranno confermate le indiscrezioni di stampa riguardo i fatti accaduti a Colonia la notte di Capodanno, quando decine di donne sono state molestate da centinaia di aggressori, in buona parte ubriachi e di origine straniera.
Stando a quanto emerso e ricostruito in diversi provvedimenti giudiziari e disciplinari, le rivelazioni sarebbero clamorose. Il sovrintendente della polizia di Colonia in servizio quella notte ha infatti riferito alla commissione investigativa che il ministro dell’Interno del Nord Reno-Westfalia avrebbe cercato di usare la propria posizione per influenzare le indagini. Dall’ufficio del ministro sarebbe addirittura partita una telefonata per “consigliare” di eliminare la parola stupro da un rapporto di polizia compilato sulla base della testimonianza di una ragazza diciannovenne che aveva raccontato di essere stata circondata da diverse decine di uomini che l’avrebbero palpeggiata e penetrata con le dita. Di fronte alle proteste dell’ufficiale per quell’indebita ingerenza, il funzionario ministeriale si sarebbe difeso spiegando che l’ordine di cancellare quel rapporto sarebbe arrivato dallo stesso titolare del dicastero.
Attenzione, la pentola sociale tedesca è in ebollizione. E il coperchio potrebbe saltare da un momento all’altro. E la conferma di questo ci arriva da un proxy molto significativo della Germania, ovvero quell’Austria che sta rafforzando i controlli al Brennero e che due settimane fa ha visto trionfare al primo turno delle presidenziali il candidato della destra anti-immigrazione, l’Fpo. Bene, lunedì il ministro dell’Interno austriaco ha reso noto un report riguardo le aggressioni a sfondo xenofobo nel Paese e il risultato è inquietante: gli attacchi razzisti compiuti da estremisti di destra sono saliti di oltre il 50% lo scorso anno, con islamici ed ebrei come bersagli prioritari. Stando ai dati, nel 2015 sono stati compiuti 1156 crimini razziali contro i 750 del 2014, un aumento del 54% a fronte, invece, di un calo netto degli attacchi compiuti da gruppi dell’estrema sinistra, scesi a 186 lo scorso anno dai 371 del 2014. Ma c’è di più, perché in base al report 259 persone hanno viaggiato dall’Austria verso Siria o Iraq lo scorso anno per unirsi all’Isis, 75 dei quali sarebbero già ritornati nel Paese alpino, mentre altri 43 sarebbero morti in combattimento.