Francesco Gaetano Caltagirone sbatte clamorosamente la porta come editore in Fieg; fa l’indiano come banchiere in UniCredit, contando di essere dimenticato in fretta come azionista-consigliere di Mps; gioca volentieri a socio di riferimento delle Generali “francesi”; non si affanna a scegliere fra Alfio Marchini e Roberto Giachetti (e Virginia Raggi…) come candidato sindaco preferito per la “sua” Roma. È un mezzo secolo “in business” un po’ strano quello celebrato giusto ieri su molti media per l’imprenditore capitolino che – più di altri, a differenza di molti altri “para-imprenditori” – rivendica con qualche ragione il titolo di “ottavo re di Roma”, condiviso in questi giorni con Francesco Totti: cementiere-costruttore-immobiliarista, finanziere, editore del Messaggero, la gazzetta della capitale, ma anche del Mattino di Napoli e perfino del Gazzettino nel Nord-est.
Proprio in virtù di questi interessi nella media industry nazionale, Azzurra Caltagirone (ex) moglie di Pier Ferdinando Casini era vicepresidente della Fieg con la delega ai quotidiani: un po’ come il padre Francesco Gaetano era stato pre-selezionato per il prestigioso incarico di “saggio” per il recentissimo rinnovo della presidenza Confindustria. Ieri, invece, lo strappo: il gruppo Caltagirone esce traumaticamente dalla Fieg (la “Confindustria dei giornali”), Azzurra si dimette e il padre viene subito paragonato a Sergio Marchionne, che ha portato la Fiat fuori da Confindustria. Attenzione a non confondere la forma con la sostanza, a non trascurare il metodo e il merito della vicenda.
Caltagirone scorpora dai suoi tre giornali le attività poligrafiche (i “metalmeccanici” dell’editoria) e avvia una dura ristrutturazione, a base di cambi di contratto e licenziamenti. I sindacati reagiscono e gli scioperi contagiano l’intero settore. La Fieg – presieduta da Maurizio Costa, ex numero uno Mondadori oggi alla guida di Rcs – reagisce a sua volta invitando Caltagirone a rivedere le sue scelte. La risposta di “Calta” non si fa attendere: terribilmente scontata nella sua ruvidezza, ma tutt’altro che elementare nell’interpretazione.
Difficile pensare che Caltagirone sia ricorso a tanta e tale platealità per tagliare qualche decina di posti di lavoro (non giornalistici) nei suoi giornali. L’albero che è andato a scuotere (usando il suo ramo) è invece quello di una grande editoria giornalistica nazionale in fase di transizione e riassetto: famiglia De Benedetti e famiglia Agnelli che decidono di unire Repubblica e Stampa; il Corriere della Sera campo di un’Ops dichiarata da Cairo Communication e di una contro-Opa non ancora dichiarata da Mediobanca & partners; Il Sole 24 Ore che – sotto la guida di Giorgio Squinzi – cerca una faticosa via d’uscita dalla crisi. Quella di Caltagirone è una “mossa del cavallo” apparentemente brusca, ma è su questo scenario che va collocata: con spunti a scelta.
Ad esempio: Cairo si è fatto avanti su Rcs forte anche di una fama di “editore industriale”, cioè di controllore di costi, di ristrutturatore di media non giornalistici. Beh, “Calta” marchionniano è forse da meno? Per non parlare del “pedigree” del finanziere che ha subito investito sulle Generali del dopo-Greco, affidate al francese Philippe Donnet. E che dire del Caltagirone potenziale demiurgo dell’elezione del “sindaco della Nazione” a Roma? O dell’unico romano che conterà veramente – attraverso il figlio Alessandro – nel delicatissimo cda milanese di UniCredit di martedì 10, chiamato forse a decidere della sorte del Ceo Federico Ghizzoni?