C’è voluto il crollo delle Borse – una vera e propria “fuga”, l’ha definita Il Sole-24 Ore – per ricordare agli italiani, “distratti” dai ballottaggi e della campagna già in corso per il referendum costituzionale, che la Brexit – come ha scritto Roger Cohen sul New York Times International dell’11 giugno – è “non immaginabile ma possibile”.



Da una decina di giorni, la stampa popolare britannica è scesa in campo con tutte le sue forze. Il Daily Express, il Sunday Express, il Daily Mail (testate le cui vendite, e la cui capacità di influenza, superano di gran lunga quelle più note e più paludate a cui spesso fanno riferimento i giornali italiani) attaccano le istituzioni europee, specialmente la Commissione, senza esclusioni di colpi. Non solo per il metodo “antidemocratico” dei loro processi decisionali (un’accusa che ha senza dubbio qualche punto di validità), ma anche ricordando vecchi (e anche non tanto vecchi) scandali finanziari e sessuali che hanno afflitto la Commissione e la condanna subita dal Presidente della Commissione Romano Prodi (anni addietro) per avere allontanato alti dirigenti unicamente perché non “allineati” (sull’ingresso della Repubblica Ellenica nell’unione monetaria). In breve si fa tutto un fascio e ogni argomento è buono per attaccare “l’oppressiva” e “tentacolare” Unione europea.



Il Daily Mail, dopo avere rievocato i prodromi della Seconda guerra mondiale – Siamo a un bivio come nel 1939 –, ha invitato i suoi lettori a mettere alle finestre stendardi con uno slogan volgare nei confronti dell’Unione europea: Stick it to the EU (Mettilo in quel posto all’Ue). Lo stesso The Economist (da sempre europeista) nel fascicolo uscito l’11 giugno specifica che cinque dei maggiori otto istituti di sondaggio pronosticano una vittoria di coloro che vogliono uscire dall’Ue. Il settimanale attribuisce il crescente “profumo di Brexit” alla maldestra campagna referendaria di chi intende restare nell’Unione e nella previsione di un’alta percentuale di astensione, mentre nel 1975 quando venne effettuato un referendum analogo, Margaret Thatcher scese in campo in prima persona (ottenendo concessioni dall’Ue, il noto rebate)andando in ogni angolo del Paese per illustrare i costi e i benefici di un’eventuale uscita dall’Unione. Adesso – sottolinea The Economist – i discorsi in favore della permanenza nell’Unione assomigliano a “litanie”, non certo il modo più convincente per indurre gli indecisi o per portare alle urne coloro che sarebbero restati a casa.



Come Il Sussidiario del 18 aprile aveva annunciato, a due settimane esatte dal referendum britannico i mercati sono entrati in fibrillazione: dal crollo delle Borse del 10 giugno, Piazza Affari è uscita peggio delle altre. Sarebbe un errore attribuire la caduta dei titoli a Milano interamente alla Brexit; altre componenti sono i cattivi dati sull’andamento dell’economia italiana, il “pasticciaccio” bancario e il sentore che la doppia campagna elettorale per il ballottaggio e il referendum costituzionale si diventata un’arma di “distrazione” di massa nei confronti della politica economica, i cui temi di fondo paiono non essere più una priorità né per il Governo, né per parte dell’opposizione.

Comunque, la Brexit “morde” sui mercati anche prima che venga tenuto il referendum. Dato che non è escluso un aumento dei tassi d’interesse proveniente da oltre Atlantico, l’Italia, con il suo alto debito pubblico (ovviamente molto sensibile agli alti e bassi dei tassi), è comunque tra i Paesi più a rischio. Se avverrà, la Brexit – come ha detto il Fondo monetario internazionale – avrà implicazioni negative per l’economia internazionale. È sempre il Fondo monetario ad avvertire che potranno essere particolarmente dure per l’Italia (non solo a ragione dell’alto debito pubblico) perché le stesse previsioni nel Documento di economia e finanza affermano che potremmo tornare ai livello di reddito nel 2007 solo nel 2027, sempre che le politiche economiche del Governo si rivelino efficaci e l’economia internazionale sia favorevole.

La Brexit sarebbe per l’Italia un elemento aggiuntivo di incertezza nel breve e medio periodo quando la Gran Bretagna e l’Ue dovranno negoziare le modalità dell’uscita e i termini delle relazioni future. Ma avrebbe effetti anche di lungo periodo. Da un lato, nella guida dell’Ue, i Governi che da quaranta anni si succedono alla guida del Paese hanno sempre tentato (con vario grado si successo) un asse italo-britannico alternativo a quello franco-tedesco. Da un altro, potrebbe incentivare Governi di altri Stati dell’Ue a ottenere “condizioni speciali” (come ha avuto l’attuale Governo britannico) per restare nell’Ue, innescando un moto centripeto. Da un altro ancora, anche se la Gran Bretagna non ha aderito all’unione monetaria, la Brexit è la prova che il metodo Monnet è fuori tempo: tale metodo spingeva per unioni tecniche irreversibili che avrebbe costretto ad andare verso un’unione politica di marca federalista. Purtroppo, di irreversibile c’è solo la morte. E la storia economica dimostra come tutte le unioni monetarie siano state prima o poi reversibili.