In questi giorni che precedono il referendum sulla Brexit, gli occhi del mondo sono puntati sulla Gran Bretagna per capire quale decisione prenderanno i cittadini nel segreto delle urne il 23 giugno. Se però spostiamo lo sguardo su questo lato della Manica, verso l’Europa, che panorama possiamo vedere? «A Bruxelles prevalgono ancora i rapporti di forza ed è la Germania a determinare la dinamica generale», ci dice Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.
E qual è la situazione?
La situazione continua a rimanere di sostanziale squilibrio, di crescita lenta, nonostante si stiano facendo grandissimi sforzi per tornare alla “normalità”, cioè alla situazione economica di 10 anni fa. Ne abbiamo la prova con la Bce, che ha messo in campo strumenti “non convenzionali”. È una situazione obiettivamente fragile. Il che significa che qualche grosso problema potrebbe materializzarsi in modo inatteso.
Come appunto la Brexit…
Si immaginava che nei giorni precedenti il voto ci sarebbe stato un impatto negativo, ma non come quello che si sta registrando in questi giorni. È un momento che economicamente di per sé non è così dirompente, però stiamo vedendo che in queste circostanze lo è. Non vorrei che diventasse un “pretesto”, un’occasione nel corso della quale cambiare indirizzo.
In che senso Professore?
Abbiamo ormai previsioni di crescita economica che vengono gradualmente sempre riviste al ribasso, cresce la disuguaglianza, non funziona più l’ascensore sociale, una parte di Europa, Italia compresa, è caduta in una vera e propria “trappola della povertà”. L’insuccesso economico, il timore crescente del deterioramento del proprio tenore di vita sono alla radice di tutti gli sconvolgimenti politici negli Usa e in Europa, con l’avanzata dei cosiddetti populismi.
Dove può portare questa situazione?
I fattori di potenziale squilibrio e instabilità in Europa sono evidenti, basta guardarli. Per esempio, in Germania dal 1994 i giovani tra i 20 e i 39 anni sono diminuiti di 6 milioni di unità, in Italia di 4 milioni. È una situazione strutturalmente malata. C’è una situazione caratterizzata da forte squilibri, così non possiamo andare avanti. Le opzioni per il cambiamento sono tante. È possibile che in passato siano state fatte operazione di inclusione troppo in fretta e malamente, ma continuo a ritenere che il progetto europeo non debba essere abbandonato.
Se il progetto non deve essere abbandonato, quanto meno dovranno esserci importanti cambiamenti.
Nell’Eurozona in questi anni, specialmente per i paesi del Sud, la politica fondamentale è stata quella della svalutazione interna, che ha significato congelare i redditi da lavoro, con alcune funzioni e servizi dello Stato arretrati in maniera forte, tale da provocare danni. La svalutazione interna, l’austerità non funzionano. Dobbiamo quindi aumentare i salari, non diminuirli: ci vuole una politica di netti miglioramenti salariali. L’Eurozona va allentata: senza traumi, ma i “bulloni” con cui i paesi dell’Eurozona si sono “inchiodati”, vanno allentati.
In che modo concretamente si potrebbe fare?
All’inizio della stagione dell’euro si teorizzava un’Europa a due velocità, purtroppo non è andata così mi verrebbe da dire. In questa situazione, nel frattempo, la Germania si è molto rafforzata rispetto alla Francia, per cui l’asse franco-tedesco è un asse per modo di dire. Una “proposta indecente”, in un quadro di Europa unita, potrebbe essere che Berlino esca dall’euro. Una cosa del genere temo che la Germania non la accetti, perché è stata la grande beneficiaria della politica seguita finora.
La strada per rimanere uniti è quindi “rompere” l’Unione?
Questa è una soluzione che consente ancora di guardare all’Europa, ritornando quindi per un qualche periodo ai nastri di partenza. Credo che sia meglio muoversi in questa direzione piuttosto che arrivare a un dissoluzione “forzata”. Del resto nel momento in cui si ipotizzano e poi si dovessero rimettere in atto barriere e controlli alle frontiere l’Unione europea sarebbe finita.
(Lorenzo Torrisi)