«Nel breve termine un’uscita del Regno Unito dall’Unione europea potrebbe avere effetti sugli investimenti delle imprese e sugli acquisti di beni durevoli da parte delle famiglie. Sono però le conseguenze politiche nel medio termine a preoccupare maggiormente». Lo evidenzia Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza, a meno di una settimana dal referendum britannico sull’uscita dall’Ue previsto per il 23 giugno. Nei giorni scorsi il presidente della Fed, Janet Yellen, aveva affermato che un’eventuale Brexit potrebbe provocare conseguenze sulla finanza e sull’economia del mondo intero. Quindi si è espressa anche la Banca centrale europea, che nel suo ultimo bollettino sottolinea: “I rischi al ribasso sono ancora connessi all’andamento dell’economia mondiale, all’imminente referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Ue e ad altri rischi geopolitici”.



Professore, quali sarebbero le conseguenze di una Brexit?

Una Brexit avrebbe conseguenze di accresciuta incertezza, almeno fino a quando non si capirà come saranno regolati i nuovi rapporti bilaterali tra Regno Unito e Unione europea. L’incertezza si farà sentire innanzitutto sui mercati. D’altra parte le banche centrali stanno predisponendo gli strumenti all’occorrenza, e quindi l’effetto sui mercati potrebbe essere, se non eliminato, comunque molto contenuto dall’intervento di Fed e Bce.



Ci saranno ripercussioni per l’economia reale?

A livello dell’economia mondiale l’aumento dell’incertezza avrebbe conseguenze sulle decisioni d’investimento da parte delle imprese e d’acquisto di beni di consumo durevoli da parte delle famiglie. A ciò si potrebbe aggiungere la trasmissione di effetti da parte dei mercati finanziari, che potrebbe essere però contenuta da un rapido intervento delle banche centrali.

Il Regno Unito è già fuori dall’euro. Perché ritiene che potrebbero esserci effetti su investimenti e acquisto di beni durevoli?

Perché gli investitori “odiano” una situazione che non è facilmente definibile. Questa è una delle ragioni per cui un aumento dell’incertezza potrebbe produrre effetti sui mercati finanziari, indipendentemente dal fatto che il Regno Unito faccia parte o meno dell’euro. Questo stesso fattore può avere effetti sull’acquisto di beni durevoli.

Le conseguenze potrebbero anche riguardare il Pil dell’Italia?

Nel momento in cui sono colpiti i consumi durevoli e gli investimenti, ci sarebbe potenzialmente un effetto sul Pil. Ma almeno in prima approssimazione questi effetti possono essere contenuti.

 

Quindi fa bene il governo a non modificare le sue previsioni sul Pil nel 2016?

Sì, anche perché le incertezze si scioglieranno il 24 giugno, all’indomani del referendum.

 

Quali sarebbero invece le conseguenze politiche nel medio termine?

A livello politico anche altri Stati che hanno un’economia florida come i Paesi Bassi, o che hanno comunque rapporti più conflittuali con Bruxelles come Polonia e Ungheria per la questione degli immigrati, potrebbero decidere a loro volta di seguire l’esempio britannico e uscire dall’Ue.

 

È anche possibile che si crei un blocco inglese in grado di attrarre Italia e Grecia?

No, ritengo più verosimile che prima o poi l’Europa si dividerebbe in due. Inizialmente ci potrebbe essere un rafforzamento dell’area dell’euro, ma in una seconda fase i Paesi più ricchi dell’Europa Centro-Nord potrebbero decidere di seguire un eventuale esempio inglese.

 

Una divisione tra Europa del Nord e del Sud sarebbe realmente fattibile?

È un progetto che non sarebbe realizzabile in modo pacifico, ma determinerebbe una gravissima instabilità che porterebbe a tanti anni di impoverimento e conflitti i quali non sarebbero facilmente composti.

 

Il referendum è una reazione all’Europa a guida tedesca?

Il referendum britannico è una reazione all’incapacità dell’Europa di risolvere problemi come l’immigrazione. A ciò si aggiunge una sorta di paura e di disagio nei confronti dei vincoli eccessivi posti da Bruxelles dal punto di vista della regolamentazione. La guida tedesca è un fatto che riguarda soprattutto l’Eurozona, non l’Ue che si identifica invece più con Bruxelles che con Berlino.

 

(Pietro Vernizzi)