Dunque, il governo Renzi – finalmente – conta di varare la riforma delle Agenzie: le più famose, o famigerate, sono quelle fiscali, cioè l’Agenzia delle entrate, Agenzia delle dogane e Agenzia del demanio. Per la verità ce ne sono una valanga di altre, minori, che vale la pena ricordare solo per non perdere mai l’occasione di contemplare l’assurda proliferazione di burocrazia pubblica improduttiva che c’è stata in questo Paese: l’Agenzia industrie difesa, l’Agenzia per le normative e i controlli tecnici e l’Agenzia per la proprietà industriale, l’Agenzia per le comunicazioni, l’Agenzia dei trasporti terrestri e delle infrastrutture, sotto la vigilanza del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti… E potremmo continuare.
“Con la riforma delle Agenzie dovremo intervenire nel rapporto tra fisco e contribuenti riportando al ministero dell’Economia e al Parlamento l’ultima parola sulle circolari d’attuazione delle leggi fiscali”: lo ha detto venerdì Maurizio Bernardo, di Area Popolare, presidente della Commissione Finanze della Camera, concludendo a Castrocaro un convegno organizzato dai commercialisti aderenti all’Acb Group, un’autorevole associazione professionale fondata da Victor Uckmar e Luigi Guatri.
Cioè? “Cioè, oggi accade il contrario, che sono le Agenzie a interpretare il pensiero del legislatore, magari anche al punto di forzarlo, se non ribaltarlo”, ha spiegato Bernardo. E ha aggiunto: “La riforma andrà nel segno opposto. Le future circolari interpretative e i futuri regolamenti passeranno dal ministero e dalla commissione Finanze”.
Più precisamente: “Il buon senso vince sempre sui numeri”, aveva detto pochi giorni fa il viceministro all’Economia Enrico Zanetti, alludendo tra le altre cose anche a quest’assurdità dell’Agenzia delle Entrate più potente del ministero e dei suoi tecnici legislativi, da quando il ministero delle Finanze è stato dissolto dentro quello dell’Economia, con discutibile scelta. Zanetti è dottore commercialista, e dovrebbe avere la delega sulle materie fiscali, se ci fosse una logica in queste dinamiche, ma poiché l’unica logica che vige è quella della spartizione, non l’ha avuta. Comunque, spiega, e si fa capire: “La macchina fiscale in Italia è stata per lungo tempo in completa autogestione, l’agenzia diceva al ministero dell’Economia e delle Finanze cosa doveva fare”. E lo diceva anche al mercato, emanando i suoi sorprendenti documenti interpretativi con modalità quasi sempre brusche ed effetti a dir poco disagevoli. “Questa distorsione della logica e dell’efficienza è iniziata nel 2008”, continua Zanetti, “ed è durata fino all’insediamento del nostro governo, quindi lungo tutto il governo Berlusconi, poi con il Governo Monti – durante il quale fu l’ex direttore dell’Agenzia Attilio Befera a fare la riforma-ombra di questi enti, poi ancora con Letta; noi abbiamo iniziato a mettere le mani più dentro. Con noi insomma questa deriva si è già fermata, noi – pur nel rispetto del ruolo tecnico importante che svolgono le Agenzie – l’abbiamo frenata… Ma non a caso, sul fronte della semplificazione fiscale siamo rimasti indietro, l’interpretazione delle norme dev’essere fatta dal Mef, non dall’Agenzia, com’invece è accaduto: ne parleremo quando si farà la riforma…”.
Una promessa per i commercialisti, i ragionieri, gli esperti dei Caaf e i contribuenti, che quotidianamente impazziscono non tanto con le norme quanto con le loro interpretazioni: e una minaccia per gli strapotenti mandarini delle Agenzie. Ma sarà vera gloria? Cioè: la riforma si farà sul serio, e sarà incisiva?
La voglia di rivincita la politica – e i politici, compresi i renziani – ce l’ha tutta: circoscrivere i poteri delle Agenzie significa, in fondo, riprendersi un pezzo troppo grande di sovranità devoluta a dei tecnici. Ma c’è un inghippo, un ostacolo da superare. Affinché questa rivincita si compia, è necessario che avvenga un piccolo miracolo, che cioè le strutture interne dei ministeri vengano ri-valutate da Renzi e dai suoi. Districarsi nel ginepraio delle leggi italiane – troppe, e troppo mal scritte – è una prodezza da tecnici finissimi dell’amministrazione e del diritto. Non è roba di poco conto. E di nuovi tecnici, magari trentenni, capaci di destreggiarsi in quella bolgia, magari presentandosi come “rottamatori”, non ce n’è.
Bisogna affidarsi, e fidarsi, a quelli over-cinquanta. E questo a Renzi non piace. Certo: è meglio un tecnico di cui non ci si può fidare del tutto ma che, almeno, lavora al ministero, sott’occhio; piuttosto che un tecnico altrettanto inaffidabile e che per di più lavora anche a dieci chilometri. Ma perseguire la giusta linea del “recupero” del potere legislativo esecutivo, oggi rimesso ai regolamenti d’attuazione delle leggi e alle circolari interpretative, acquisendo dentro i ministeri le competenze per gestirlo e ridimensionando le agenzie esterne, significa comunque ripensare l’organizzazione dell’esercizio del potere. Prendere atto che non si può far, bene, tutto da soli.
Se Renzi si acconcerà davvero a farlo, avrà compiuto un grande passo avanti, molto più significativo – metodologicamente – del progresso sostanziale conseguibile con lo stesso recupero del potere, in sé e per sé.