«L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea non produrrà nessuna conseguenza rilevante sul piano economico. Dal punto di vista politico darà vita invece a un effetto domino, con altri popoli a partire dal nostro i quali capiranno che possono seguire a loro volta l’esempio degli inglesi». Lo rimarca Claudio Borghi Aquilini, responsabile del dipartimento Economia della Lega Nord e consigliere della Regione Toscana. Il 23 giugno prossimo i cittadini britannici saranno chiamati al voto per il referendum sull’adesione del Regno Unito all’Unione europea. Due le opzioni per i votanti: “remain” (rimani) e “leave” (lascia). La campagna elettorale è stata sospesa dopo l’uccisione del deputato laburista anti-Brexit, Jo Cox, ma presto riprenderà e alla fine i “leave” potrebbero comunque prevalere. Nei giorni scorsi tanto Fed quanto Bce sono corse ai ripari preparandosi a questo tipo di scenario.



Che cosa ne pensa dell’allarme Brexit lanciato da Fed e Bce?

Il fatto che ci siano molti organismi sovranazionali, dal Fmi alla Bce alla Fed, che si stanno sgolando per cercare di portare notizie o argomenti quantomeno favorevoli al “remain” del Regno Unito fa capire semplicemente quali siano gli interessi in gioco e di chi siano le persone che vedono in questo referendum una minaccia per il loro lavoro.



Quali sarebbero le conseguenze economiche per l’Europa di un’uscita del Regno Unito dall’Ue?

È evidente che un’uscita del Regno Unito dal’Ue non avrebbe conseguenze economiche immediate. Il motivo è molto banale: non c’è nessun collegamento diretto tra la posizione della Gran Bretagna all’interno dell’Ue e aspetti economico-finanziari che potrebbero danneggiare l’Ue dall’esterno.

Perché?

Perché il Regno Unito è molto semplicemente un “cliente” dell’Ue, in quanto il suo saldo tra importazioni ed esportazioni è da sempre nettamente a favore delle importazioni. È evidente che in queste condizioni non c’è nessun interesse da parte dell’Ue a mettere dazi o limitazioni ai danni del Regno Unito, trattandolo come se fosse un “Paese pirata”, perché in questo modo si perderebbe un cliente.

Ci possono essere invece ricadute sul piano finanziario?

No, non cambierà nulla nemmeno per le monete o le Borse in quanto nel Regno Unito c’è la sterlina. Non cambierebbe nulla neanche nel bilancio dei Fondi Salva Stato o del Fiscal Compact, cui la Gran Bretagna non ha mai partecipato. Fed e Bce si agitano tanto per un’eventuale Brexit perché il vero rischio è l’effetto domino. Un fatto che era dato come irrevocabile, quale l’ingresso nell’Ue, si rivelerebbe in realtà reversibile.

In che senso questo provocherebbe un “effetto domino”?

La libera volontà del popolo britannico potrebbe a quel punto essere presa come esempio. Tanti popoli narcotizzati, come quelli che attualmente compongono l’Ue, capirebbero che possono scegliere. Questa consapevolezza era già stata larvatamente messa in luce con il referendum greco, ma poi avendone intuito il pericolo si decise di soffocare il plebiscito di Tsipras. La formazione del consenso pro-Ue avvenne infatti a base di banche chiuse e code ai bancomat. Ora con i britannici è un po’ più difficile ripetere uno scenario greco.

 

Quali sarebbero i primi Paesi Ue a seguire l’esempio inglese?

In prima battuta l’effetto domino si farebbe sentire su due categorie di Stati: da un lato ci sono quelli che pagano per il bilancio europeo, come Italia e Paesi Bassi; dall’altra quelli danneggiati dall’euro, come Italia e Finlandia. Come si vede il nostro Paese rientra in entrambe le categorie, perché da un lato l’euro è una moneta tropo forte per la nostra economia, e dall’altro siamo dei contributori netti dell’Ue. Grecia e Portogallo invece ci devono pensare due volte prima di uscire dall’Ue, in quanto quest’ultima li sussidia. Per tanti altri Paesi invece la somma degli svantaggi derivanti dall’appartenenza all’Ue risulta molto superiore ai vantaggi.

 

L’Italia però fa parte anche dell’euro. Uscire dall’Ue per noi sarebbe un fatto indolore come per il Regno Unito?

Ovviamente sarebbe più complicato. È per questo che, insieme ad altri economisti europei, sto progettando degli scenari di “distruzione controllata” dell’euro che ne minimizzerebbero le difficoltà tecniche. Un conto però sono le “technicality” e un altro è la volontà. Nel momento stesso in cui c’è una volontà politica, poi diventerà possibile anche un’uscita del’Italia dall’euro.

 

(Pietro Vernizzi)