«La prima evidenza che emerge dall’Economic Outlook dell’Ocse è che il divario fin qui accumulato dall’Italia in termini di crescita e di disoccupazione non si riduce ma aumenta». È il commento di Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Mercoledì l’Ocse ha pubblicato il suo nuovo Economic Outlook, e i media italiani si sono limitati a enfatizzare la parte in cui l’organismo internazionale afferma che l’Italia “riprende slancio” grazie al fatto che “la crescita dei redditi disponibili delle famiglie e il miglioramento del mercato del lavoro sosterranno i consumi”. Anche se in un’altra parte del rapporto l’Ocse mette in guardia l’Italia dalle possibili ricadute della Brexit, affermando che “richiederebbe maggiori restrizioni di bilancio”, cioè di fatto maggiore austerità.



Dall’Economic Outlook dell’Ocse emerge davvero che l’Italia è in ripresa?

Secondo le previsioni Ocse, la crescita del Pil nel 2016 sarà dell’1% per l’Italia, dell’1,4% per la Francia, dell’1,6% per la Germania e dell’1,7% per il Regno Unito. La previsione per il 2017 è invece dell’1,4% per l’Italia, dell’1,5% per la Francia, dell’1,7% per la Germania e del 2% per il Regno Unito. Nel 2017 la disoccupazione è pari al 10,8% per l’Italia, al 9,7% per la Francia, al 5,2% nel Regno Unito e al 4,6% per la Germania.



E quindi?

La prima evidenza che emerge dall’Economic Outlook dell’Ocse è che il divario fin qui accumulato dall’Italia in termini di crescita e di disoccupazione non si riduce ma aumenta. Non siamo sulla strada di un recupero del terreno perduto, ma semmai arretriamo ulteriormente perché l’Italia sta andando costantemente a una velocità più bassa rispetto agli altri Paesi. Non è la mia opinione, ma il dato che emerge dall’Economic Outlook dell’Ocse.

Com’è invece il confronto con la Spagna?

La Spagna ha un tasso di disoccupazione più alto dell’Italia, pari al 18,4%, ma Madrid ci batte per quanto riguarda la crescita. Il Pil è previsto infatti pari al +2,8% nel 2016 e al +2,3% nel 2017.



L’Ocse mette in guardia dai rischi di una Brexit. Che cosa accadrebbe all’Italia se il Regno Unito uscisse dall’Ue?

Qualunque persona dotata di buonsenso ha il dovere morale di astenersi dal fare congetture pubbliche come questa su un evento che non si è mai verificato. Per quanto riguarda le analisi sulle possibili conseguenze di un’uscita del Regno Unito dall’Ue, ne ho già viste di tutti i colori. C’è chi dice che sarà un disastro e chi afferma che il danno, ammesso che ci sia, sarà comunque di breve periodo.

Quindi siamo in una situazione di incertezza?

Quello che si può dire di sicuro è che l’incertezza è massima, in quanto un evento di questo genere sarebbe senza precedenti. Non è mai accaduto che democraticamente un Paese decidesse di uscire dall’Ue. Vorrei però sottolineare un’altra cosa.

 

Prego…

Ci si lamenta molto di tutto quello che accade in Europa, dai populismi alla Brexit, dimenticando che l’origine ha un solo nome: le politiche di austerità. È da qui che nascono questi rivolgimenti profondi che stanno attraversando il Vecchio Continente.

 

Ora però i tempi della Troika sembrano appartenere al passato…

Non è affatto così. Dopo la discussa relazione del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, alcuni economisti stanno prospettando la possibilità che la Troika metta piede anche in Italia. Se all’austerità mai del tutto abbandonata e a una situazione di continuo arretramento rispetto agli altri Paesi noi dovessimo aggiungere l’arrivo di questi personaggi che mediamente ne sanno dieci volte meno di un comune cittadino, mi aspetto solamente un ulteriore inasprimento dei sacrifici imposti agli italiani.

 

Che senso avrebbe mandare la Troika in Italia?

Il messaggio sarebbe che le riforme attuate nel nostro Paese non sono sufficienti. La prima riforma che si attuerebbe è il taglio del cuneo fiscale. Quando però si afferma che bisogna tagliare il cuneo fiscale, ci si dimentica del fatto che quest’ultimo finanzia le spese sociali. Qualcuno deve venirmi a spiegare come si possano tenere in piedi la sanità, le pensioni e l’istruzione senza trovare il modo di finanziarle. La Troika imporrebbe inoltre delle riforme di lavoro e pensioni, come se quelle attuate non fossero state sufficienti, e le privatizzazioni, perché in una fase in cui noi andiamo più lenti degli altri siamo anche più a buon mercato.

 

(Pietro Vernizzi)