Le riforme più incisive sono sovente quelle incrementali che, a piccoli passi e senza farsi troppo notare, modificano equilibri consolidati, ma non necessariamente efficienti o efficaci. Dato che mijora premunt (ballottaggi, Brexit, consolidamento finanza pubblica, “gridi di dolore” dal Mezzogiorno e non solo), pochi hanno notato che il 15 giugno la commissione Bilancio della Camera ha approvato un emendamento alla normativa di aggiornamento (e attuazione) della nuova Legge di bilancio tale da potere mutare gli equilibri di poteri all’interno dell’esecutivo. È proprio uno quei cambiamenti incrementali che possono cambiare il funzionamento della gestione della finanza pubblica.



Andiamo con ordine. Da qualche anno lo strumento principale per la politica di finanza pubblica è la Legge di stabilità (che ha sostituito la Legge finanziaria del 1978). La Legge di stabilità ha avuto vita breve, e anche piuttosto tormentata. Dal prossimo settembre, di Legge di stabilità non si parlerà più. Entrerà pienamente in vigore la Legge di bilancio, la cui architettura e i cui punti fondamentali sono stati approvati nel 2009, ma di cui si stanno mettendo a punto gli strumenti attuativi tramite una serie di emendamenti al testo di sette anni fa.



Non solamente, la Legge di bilancio fonde in un unico documento normativo quanto, in passato, era dapprima nella Legge finanziaria e successivamente nella Legge di stabilità (ossia la manovra di finanza pubblica per rispettare gli obbiettivi concordati in sede europea) e quanto veniva proposto, discusso, emendato e approvato nel Bilancio di previsione (e negli Stati di previsione dei singoli Ministeri). La nuova legge amplia soprattutto le flessibilità del bilancio in fase sia di formazione, sia di esecuzione dello stesso. In particolare, introducendo la tassonomia tra spese rimodulabili e non rimodulabili, prevede, per le prime, possibilità di variazione degli stanziamenti, nei limiti relativi alla natura economica della spesa e dell’invarianza complessiva dei saldi .



Nella normativa di aggiornamento e attuazione, in discussione alla Camera, sono stati aggiunti alcuni aspetti (dei quali taluni nel 2009 erano ancora nel grembo degli Dei) come l’introduzione dell’indice di Benessere equo e sostenibile (Bes, un indicatore elaborato dal Cnel e dall’Istat) e del Bilancio di Genere. Ancora più significativo è il rendere permanente la revisione della spesa o spending review: in primavera, i Ministeri specificheranno gli obiettivi di contenimento della spesa e le valutazioni verranno effettuate secondo modalità quali quelle indicate nella Guida Operativa recentemente pubblicata dal Centro Studi ImpresaLavoro; in tal modo si elimineranno, o almeno ridurranno, i defatiganti negoziati in settembre a ridosso della Legge di bilancio.

Ma andiamo al punto cruciale approvato il 15 giugno in Commissione e che da domani 21 giugno sarà in aula, prima di passare all’esame del Senato. La misura rafforza le funzioni di controllo da parte del ministero dell’Economia e delle Finanze (in pratica della Ragioneria Generale dello Stato): se nel corso di un esercizio finanziario emergono scostamenti dalla previsioni, il Mef-Rgs, “sentito il Ministero competente”, provvede a spostare le risorse da un capitolo all’altro del dicastero. Nel caso che gli stanziamenti del Ministero “sotto vigilanza” si rivelassero insufficienti (o eccessivi), su proposta del Mef, e “previa delibera del Consiglio di Ministri”, il Presidente del Consiglio “provvederà con proprio decreto” alle revisioni.

La misura può essere interpretata sotto diversi aspetti. Da un lato, accentua la funzione del Presidente del Consiglio: non solo coordinatore, ma, “sentito il Consiglio dei Ministri” e dopo interazione tra Mef e dicasteri interessati, dotato di funzione d’intervento dirette sull’attuazione del bilancio dello Stato. Una caratteristica che, pur senza mutare la Costituzione, rende il Presidente del Consiglio molto simile a un Cancelliere, in materia di finanza pubblica e non solo.

Ciò può piacere e non piacere. Tuttavia, occorre ricordare che l’autonomia dei singoli Ministeri (pur vigilati, per aspetti differenti, da Rgs, Corte dei Conti e quant’altro) non ha sempre avuto aspetti positivi. Nei cinque anni, ad esempio, in cui ho servito come componente del Consiglio Nazionale dei Beni Culturali e Paesaggistici (questa era la denominazione dell’epoca), mi sono confrontato con ben 254 “Contabilità speciali” di cui si era dotato il dicastero, dove , nonostante il “pianto greco” di mancanza di risorse dal 1990 al 2008 la spesa per restauri, investimenti, supporto ai beni librari e via discorrendo era stata mediamente pari al 44% delle risorse assegnate. Le Contabilità speciali “inguattavano” impegni di spesa che sovente non erano neanche basati su contratti.