Al netto della morte di Jo Cox, il referendum sul Brexit pone alcune questioni che stanno monopolizzando i media: economia, immigrazione, mancanza di trasparenza nei processi democratici, frustrazione dei cittadini nei confronti dell’Ue e dei propri governi nazionali. Tutto vero, peccato che al centro delle paure dei mercati finanziari non ci siano queste materie, ma ben altro, un qualcosa che politici e soprattutto banchieri conoscono molto bene: il debito. In particolar modo, i suoi tentacoli che si stanno dipanando su tutta l’Europa e il mondo. L’euro, in questo caso, è l’equivalente finanziario di una bomba atomica debitoria.
Le banche europee sono infatti più grandi, più esposte alla leva e più indebitate di quelle statunitensi, anche se generalmente si pensa il contrario e questo significa avere un cuscinetto più piccolo per ammortizzare perdite inaspettate. Inoltre, questo settore così indebitato e fragile ha interconnessioni tali da non rendere quantificabili le liabilities cross-border dei vari istituti e Paesi: il tutto in un quadro che vede sì la Bce intenta a stimolare l’economia e l’inflazione, ma che vede altresì i governi nazionali incapaci di stampare moneta in caso di necessità per operare un back-stop diretto alle proprie banche, infatti ci si inventa pannicelli caldi come il Fondo Atlante. Oggi come oggi Italia e Spagna rappresentano per l’Ue una minaccia molto maggiore del Brexit e stanno trasportando il Continente verso pre-condizoni di debolezza sistemica che non si vedevano dai tempi del crollo Lehman.
Per capire quanto sto cercando di spiegare, l’esempio della Grecia è calzante e ce lo mostra il primo grafico a fondo pagina: Atene dall’inizio della crisi ha patito fughe di capitali, bank run dei correntisti, controllo del capitale e ricapitalizzazioni forzate a prezzi folli. Bene, questo ha portato al fatto che il prezzo della National Bank of Greece, la prima del Paese, sia crollato del 99,99%, ovviamente polverizzando gli azionisti. E il secondo grafico ci mostra come chi detiene titoli di banche europee oggi farebbe meglio a guardarsi indietro e imparare dalle lezioni già impartite dalla storia.
Paradossalmente, il voto che conta è quello italiano di ieri (al momento di spedire questo articolo le urne per i ballottaggi erano ancora aperte) e quello spagnolo di domenica prossima, non il referendum britannico di giovedì. Volete un esempio pratico? Ce lo offrono gli analisti di Berenberg, i quali hanno appena terminato un roadshow di due giorni focalizzato proprio sulle banche del nostro Paese di cui ha dato conto MilanoFinanza. Risultato? «Molte banche hanno anche evidenziato i progressi compiuti a livello di non performing loans con i flussi che continuano a scendere, ma lo stock di crediti deteriorati resta la nostra prima preoccupazione», affermano gli analisti di Berenberg, precisando che i Npl sono contabilizzati a 0,41 euro con un valore di mercato di soli 0,18-0,20 euro, «il che implica ulteriori svalutazioni per almeno 45 miliardi di euro per il sistema».
Inoltre, data l’incertezza su come funzionerà la garanzia dello Stato (Gacs) e il Fondo Atlante per i crediti deteriorati è difficile intravedere come si creerà un prezzo di equilibrio per le sofferenze: «Dal nostro punto di vista, fino a quando le banche italiane non affronteranno i loro problemi di bilancio, non vediamo un’inversione della loro sottoperformance in borsa. Per cui, continuiamo a vederle come trappole di valore scambiando a 0,45 volte il tangible book value per un Rote 2017 del 6,2%». E a parlare non sono giornalisti e bancari da quattro soldi, ma i professionisti di una primaria banca d’affari.
Ciò che è chiaro, dopo questo incontro con le banche italiane, è che permane l’assenza di domanda solvibile di credito in Italia: «Crediamo che questo sia in risposta alle prospettive economiche incerte. Pertanto, facciamo fatica a vedere una crescita dei prestiti delle banche italiane senza che aumentino la curva del rischio e i rischi sul bilancio». Con una scarsa domanda solvibile di credito, le banche italiane sono costrette a competere sui prezzi per proteggere i volumi dei prestiti. Inoltre, il beneficio dalla valorizzazione del portafoglio sta cominciando a scemare, mettendo ulteriore pressione ai ricavi degli istituti. Il consenso attualmente prevede un calo medio del 3,4% del margine di interesse delle banche italiane quest’anno e un’inversione di tendenza il prossimo anno con una crescita dell’1,5%: «Invece noi crediamo che questo non sia realistico, infatti ci aspettiamo pressione sul net interest incomedelle banche italiane per un periodo di tempo prolungato».
E i mercati volatili avranno un impatto anche sulle commissioni di performance, come evidenziato da Gam Holding con il profit warning di questa settimana: «Per questo rimaniamo preoccupati sulla sostenibilità delle commissioni tanto più che molti dei venti favorevoli che hanno aiutato questa crescita, come il calo dei rendimenti dei bond, si stanno placando. Con gli investitori che sembrano diventare più avversi al rischio a causa delle prospettive economiche, vediamo spazio per ulteriori delusioni sulle commissioni». Non solo. Il broker resta preoccupato anche per i 360 miliardi di euro di Npl lordi in essere (circa il 18% dei prestiti) nel sistema bancario italiano: «Di questi 210 miliardi di euro sono sofferenze, che sono il peggior tipo di Npl. Il mercato valuta questi prestiti a 0,18-0,20 euro, ma sono attualmente contabilizzati nei bilanci delle banche a 0,41 euro. Ciò implica perdite su crediti supplementari per almeno 45 miliardi di euro. Il Gacs e il Fondo Atlante sono insufficienti ad affrontare questo problema, a nostro avviso», indicano a Berenberg. Le stesse banche restano incerte su come Atlante acquisterà i Npl: quali sofferenze? A quale prezzo? Da chi li comprerà?
Inoltre, molte banche sembrano riluttanti a utilizzare la garanzia di Stato (Gacs), comunque la stanno esaminando. «Facciamo fatica a vedere come Atlante potrà fare progressi significativi nella riduzione dei Npl del sistema. Dei 4,25 miliardi di euro di potenzia di fuoco del fondo, 1,5 miliardi sono stati utilizzati per ricapitalizzare la Banca popolare di Vicenza e sembra che 1 miliardo sarà necessario per ricapitalizzare Veneto Banca. Questo lascia solo 1,75 miliardi di euro per far fronte ai Npl contro potenziali ulteriori svalutazioni per almeno 45 miliardi di euro, Atlante è quindi insufficiente», concludono gli analisti di Berenberg.
Ops, sgradevole come realtà, cosa ne dite? Il tutto in un contesto che vede la Bce fornire back-stop al mercato con i suoi acquisti e con la promessa di inondare di liquidità il sistema se lo shock provocato da un eventuale Brexit lo rendesse necessario. Perché allora c’è tensione e sfiducia sui mercati? Perché il problema non è la Gran Bretagna e la sua scelta, bensì le politiche europee della Germania, basti vedere l’esplosione degli spread portoghese, spagnolo e italiano nelle settimane recenti e di cui i telegiornali non danno conto per il semplice fatto che proprio l’operato della Bce sta comprimendoli sotto i livelli di guardia: o Berlino cede oppure sarà uno di questi tre Paesi a essere forzatamente spinto a seguire la strada britannica.
Wolfgang Schauble può dire ciò che vuole, può dire che la cura imposta dalla Troika a Spagna, Portogallo e Irlanda ha funzionato e che, alla fine, anche la Grecia ha superato il momento più difficile: può dirlo, ma essendo un uomo intelligente non può crederci davvero. La Grecia è in bancarotta e resta in piedi soltanto per il giochino da schema Ponzi dei soldi europei che entrano nelle casse statali per pagare i debiti verso le stesse istituzioni che lo esborsano. Per il resto, il Paese è in ginocchio e quando finirà la pantomima di spostare avanti un po’ di più le scadenze per guadagnare tempo e non affrontare la realtà, sarà chiaro a tutti. Il Portogallo ha un carico debitorio, tra privato e pubblico, superiore a quello del Giappone (oltre il 400% del Pil), il tutto accompagnato da una crisi demografica incipiente, innovazione e ricerca ormai azzerate e conti pubblici fuori controllo già sul breve-medio termine. L’Irlanda ha numeri da boom sul breve, ma non sarà mai nella posizione di poter ripagare il suo combinato di debito pubblico e privato in maniera ordinaria, arriverà certamente nel breve termine un punto di rottura in cui misure extra-ordinarie dovranno essere messe in campo per cambiare le dinamiche in atto. E sarà doloroso.
E, ripeto, se l’eurozona non è ancora implosa non è perché c’è la speranza che il Brexit perda la sua scommessa, ma solo perché il Quantitative easing e i tassi negativi della Bce stanno comprando quel tempo che in effetto non c’è più, guardando i dati macro. Solo grazie alla Bce, Paesi con alte ratio di debito e una demografia in continuo calo possono pagare interessi sul proprio debito pari a quelli che pagano gli Usa, è un mondo artificiale. Il problema è che la Bce può cercare di fissare tutto, ma non quei dati macro sottostanti, quelli necessitano di misure economiche straordinarie che nessun governo può permettersi di prospettare in questo momento ai propri cittadini-elettori: debito e calo della competitività sono un combinato letale sul lungo termine.
L’alternativa a tutto questo, se Berlino non capirà che così non si può andare avanti, è l’uscita dall’eurozona di uno tra Italia, Spagna e Portogallo: questo è il vero rischio per l’Ue, non certo il Brexit.