L’unificazione dell’Europa a trazione tedesca ha spaccato in due l’Europa stessa. La vittoria del “leave” sancita da un referendum britannico partecipatissimo – il 72% degli elettori ha votato – dice questo: che uno dei popoli-guida del Vecchio Mondo non si riconosce nell’impostazione data al processo di unione economica e politica del Continente da un’eurocrazia prona – con 11 direttori generali su 19 di nazionalità tedesca a Bruxelles – alla visione di Berlino. Un’eurocrazia non eletta, pilotata dai banchieri centrali e, peggio ancora, da pochi grandi tycoon della grande finanzia internazionale, paradossalmente compresa quella britannica.



Il Brexit attiva per la prima volta l’articolo 50 del Trattato, compiendo una secessione prevista come possibile, ma lo fa con la forza e la rabbia di uno schiaffo in pieno volto. E, in Patria, il referendum pro-Brexit dice “no” all’Europa come peggio non potrebbe, spaccando praticamente in due lo stesso Paese che dà il via alla rivolta – perché è probabile che questa Brexit sia solo l’inizio di una reazione a catena – dove il fronte del no prevale, ma di stretta misura, un milione di voti. Tanto che la reazione a catena sembra essersi immediatamente innescata, con le polemiche dell’Irlanda e della Scozia che a questo punto rimettono in discussione la loro adesione alla stessa Gran Bretagna.



Le turbolenze dei mercati scatenatesi già da qualche ora, da quando cioè le proiezioni hanno cominciato a stabilizzarsi sul “leave”, sono apocalittiche, evocano scene da film – quando l’archeologo sacrilego osa toccare l’Arca e scatena la terrificante ribellione dei poteri occulti che squarciano il terreno attorno a lui, generando terremoti e uragani – ma erano perfettamente previste da tempo, le grandi banche di mezzo mondo da mesi si stavano preparando per guadagnarci e ci guadagneranno, e la stessa Unione europea ha il suo contro-piano. 

Comunque, appena è stato chiaro, più o meno verso le 5 ora italiana, che la Brexit era realtà, la sterlina ha iniziato a crollare verso i suoi minimi di oltre 30 anni, l’euro è scivolato sotto 1,10 dollari da un massimo di oltre 1,14, toccando il livello più basso dallo scorso marzo, l’oro – come bene rifugio – è decollato in volata con un rialzo dell’8%, e il petrolio ha perso il 5,4%. Le borse asiatiche sono in picchiata e a Londra i “futures” indicano un crollo tra il 5 e il 10%: un misto di sincera angoscia e di speculazione ha iniziato a fare insomma i suoi effetti.

Nella debolezza generale dell’euro, risalta la fragilità dei Paesi periferici del Sud, non solo la malatissima Grecia, il piccolo Portogallo e la precaria Spagna, ma soprattutto l’Italia, gigante economico malato di debito, preda ambita dal grande capitale di tutti i Paesi partner, a cominciare dalla Germania e dalla stessa finanza britannica.

Lo scontro politico sul dopo-Brexit già s’infiamma a Londra, con il leader ideologico del fronte anti-Europa, Nigel Farage, che intima al premier Cameron di dimettersi e il Labour che lo accusa di voler spaccare il Paese su tutto, dopo averlo spaccato su Bruxelles. Ma Farage è il vincitore, senza se e senza ma. Definisce questo 24 giugno come “l’Indipendence Day”.

Un giorno dell’indipendenza che lascia un’Europa, anzi un mondo, dove – non per colpa sua – è chiaro che i marziani veri siamo noi, tutti un po’ più alieni di ieri gli uni verso gli altri.