«Con la Brexit si sta ripetendo in versione ridotta quanto avvenne nel 2008 dopo il fallimento di Lehman Brothers. Gli stessi attori che erano stati protagonisti della crisi del 2008 sono di nuovo in campo e hanno atteso che le quotazioni scendessero quanto bastava perché diventasse interessante acquistare a prezzi bassi». Lo rimarca Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Per il professor Campiglio, «i rischi riguardano in particolare l’Italia, il cui sistema bancario ha bisogno di una ricapitalizzazione molto forte come quella messa in atto nel 2008 da parte delle autorità statunitensi».



Ieri le Borse hanno continuato il rimbalzo del giorno precedente e sembra che tutto torni alla normalità. È veramente così?

È una situazione che replica in versione ridotta i sei mesi che hanno fatto seguito al fallimento di Lehman Brothers. Dal settembre 2008 fino a gennaio-marzo 2009 è stato un periodo molto instabile, dopo di che si sono divaricate di nuovo le politiche tra Stati Uniti ed Europa. La situazione attuale è meno grave di quella di allora, ma in linea di principio il periodo di riassestamento potrebbe essere meno breve.



Per quali motivi?

Perché adesso come allora potrebbe però verificarsi una divaricazione sulle modalità con cui l’Europa risponde a questi problemi. Si dice da più parti che si dovrebbero fare passi in avanti verso un’Ue senza la Gran Bretagna, ma questi passi in avanti potrebbero essere incerti e spostati in là nel tempo e questo non sarebbe un buon inizio. Le ripercussioni della Brexit non possono essere giudicate soltanto sulla base delle Borse. Gli stessi attori che hanno attraversato la crisi del 2008 sono di nuovo in campo e hanno atteso che le quotazioni scendessero quanto bastava perché diventasse interessante acquistare a prezzi bassi.

Quali sono le incognite relative all’Italia?

Le banche sono molto vincolate nella concessione del credito dal fatto che hanno un attivo che è composto in molti casi da titoli di Stato, prestiti in sofferenza o “carta straccia”. Il sistema bancario italiano dovrebbe avere bisogno di una ricapitalizzazione molto forte, anche al di là di quello che il mercato è disponibile a sottoscrivere. Si spera che facendo tesoro dell’esperienza passata i problemi siano anticipati.

Quali sono i problemi del sistema bancario italiano?

Il principale è la scelta tra obiettivi di stabilità del sistema bancario e obiettivi di efficienza. Finora si è cercato di andare verso l’efficienza, ma con risultati abbastanza deludenti. L’obiettivo dell’efficienza in realtà non funziona per ragioni interne alle banche, ma anche di sistema complessivo. Il problema è che in questa fase il rendimento delle banche è molto basso, se non ricorrendo a pratiche molto discutibili su oneri, commissioni e valute.

 

Secondo lei qual è la soluzione a questi problemi?

È solo il settore pubblico che può disegnare le regole e attuare degli interventi di rottura rispetto alla situazione europea. È una questione molto seria, soprattutto in un momento di instabilità. Dopo la crisi del 2008 gli Stati Uniti raddoppiarono da un giorno all’altro la garanzia dei depositi dei risparmiatori americani. L’Italia dovrebbe quindi operare immediatamente in quella direzione. Nel momento in cui gli attivi sono molto deboli, le ragioni dell’efficienza vanno messe in un angolo in favore delle ragioni della stabilità.

 

Il Fondo Atlante creato a questo scopo può aiutare a stabilizzare le banche?

Il Fondo Atlante ormai è quasi azzerato, ma nel frattempo sono venuti a galla problemi dieci volte più grandi. È probabile che si stia discutendo di interventi nel settore bancario da parte dell’attore pubblico per ragioni di stabilità di sistema. La Grecia infatti è stata messa in ginocchio senza grandi danni di sistema, ma se lo stesso dovesse accadere all’Italia questo fatto avrebbe una portata tale che la Brexit sarebbe una piuma.

 

(Pietro Vernizzi)