Questo primo semestre è stato marcato da bruschi cambi di percezione da parte dei mercati circa le mosse della Federal Reserve. Si è passati da un generale scetticismo su una possibile seconda stretta sul costo del denaro dopo quella di dicembre a scommesse, fino a qualche settimana fa, su un secondo rialzo a giugno. Salvo poi tornare ad escludere di nuovo tale possibilità dopo l’ultimo dato sul lavoro negli Stati Uniti.
Il dietrofront è arrivato qualche giorno fa. I nuovi posti di lavoro creati a maggio negli Stati Uniti sono solo 38mila, molto al di sotto dei 160mila attesi e nonostante un calo della disoccupazione al 4.7% che però è dovuto al fatto che i lavoratori continuano lasciare il mercato del lavoro. Ogni aspettativa di rialzo dei tassi nel prossimo meeting della Fed del 15 Giugno è stata spazzata via da questo dato. I mercati ora danno al 6% la probabilità di un rialzo dei tassi a giugno e al 37% un rialzo a luglio, secondo il CME FedWatch.
La presidente della Fed, Janet Yellen, ha parlato di incertezza anche se la view sull’economia USA resta positiva. In un discorso a Fildelfia, la Yellen ha insistito sulla necessità di alzare i tassi d’interesse, ma non ha fornito indicazioni temporali. Ha ribadito che il rialzo sarà graduale nel tempo e ha sottolineato come un tema importante sia “l’inevitabile incertezza intorno alle prospettive per l’economia”. Si è detta preoccupata per il dato sul lavoro, ma ha aggiunto che non bisogna mai dare troppo significato a un singolo rapporto mensile.
Il presidente della Fed di Boston, Eric Rosengren, ha detto di aspettarsi che le condizioni economiche continuino a migliorare negli Stati Uniti, il che renderebbe “appropriato” un ulteriore rialzo. Tuttavia, ha aggiunto, sarà importante vedere se il debole dato sull’occupazione a Maggio rappresenta un’anomalia. La questione al vaglio dei policymakers della Fed è se l’economia americana è abbastanza forte per sostenere un secondo rialzo. Lo stesso interrogativo tormenta i mercati che stanno cercando di capire se l’economia a stelle e strisce è immune dal rallentamento economico globale oppure no.
James Carrick, economista di Legal & General Investment Management, vede i primi segni di una crisi del credito e non esclude una recessione nel 2018. “Guardando oltre i prossimi trimestri, il nostro timore è che il ciclo del credito si trasformi da circolo virtuoso a circolo vizioso e che abbia l’effetto di una palla di neve che rotola giù da una collina diventando sempre più grande e più potente,” dice Carrick. L’economia statunitense, motore della crescita globale, ha continuato a crescere dal 2009 e le prospettive a breve termine appaiono buone. Tuttavia, Carrick vede un deterioramento già nel 2017. “Il ciclo potrebbe diventare negativo sotto il peso della crisi nelle economie emergenti e del collasso degli investimenti petroliferi,” dice. Soprattutto se a questi si aggiungono un dollaro più forte e un ridotto mercato del lavoro, con conseguente calo dei profitti delle compagnie americane.
Inoltre, se la Fed alzerà i tassi molte imprese americane indebitate faranno fatica a ripagare i prestiti alle banche, le quali a loro volta imporranno una stretta sul credito, dice l’economista. La Fed potrebbe trovarsi di fronte a questo dilemma nel 2017: un rialzo dei tassi d’interesse potrebbe esacerbare la stretta sul credito (credit crunch), ma lasciare i tassi invariati significa avere l’inflazione fuori controllo. Intanto, la banca centrale prende tempo. Escluso ormai un rialzo a giugno, potrà decidere conoscendo anche il risultato del referendum sulla Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. Eviterà così il rischio di prendere una decisione di politica monetaria prima di capire cosa accadrà su questo fronte, anche se si tratta di un fattore esterno e non domestico. Ma come la crisi in Cina, fattore di rischio esterno preso in considerazione in precedenza dalla Yellen, anche uno scenario di Brexit ora pesa sulla Fed.
Fino a qualche settimana fa parecchi investitori scommettevano su una imminente stretta sul costo del denaro, incoraggiati dalle dichiarazioni degli stessi policymakers della Fed che nel meeting del 26-27 Aprile non hanno escluso un intervento a Giugno. La maggioranza dei membri del FOMC, il comitato che decide sui tassi, considerava “appropriato” un rialzo dei tassi dei federal funds a Giugno in presenza di un flusso di dati macroeconomici consistente con la crescita economica registrata nel secondo trimestre. Ora tra i gestori prevale la cautela.
Scommettono per uno, massimo due rialzi entro l’anno. Rick Rieder, chief investment officer, global fixed income, presso il gestore BlackRock, dice che la banca centrale sarà in pausa per i prossimi mesi e anche il ritmo della normalizzazione sarà molto lento. E’ probabile che il mercato del lavoro rallenti nella seconda metà dell’anno, scriveva Rieder a fine Aprile. “Se questo è il caso, possiamo aspettarci non più di un rialzo quest’anno”. Per capire quando il prossimo rialzo dei tassi possa avere luogo, Rieder suggerisce di guardare alle condizioni finanziare globali, in particolare alla Cina, così come ai segni di un possibile rallentamento nella crescita dei salari USA.