Nella soluzione finale del caso Montepaschi, c’è un rebus. anzi un “nodo”, avvertiva ieri in prima pagina Il Sole 24 Ore: quello delle obbligazioni subordinate. Il controvalore nominale dei bond ibridi, a metà fra l’azione e l’obbligazione ordinaria è di circa 5 miliardi: sul mercato – soprattutto nelle ultime settimane – si possono tuttavia scambiare solo a un prezzo basso (in media a 65 rispetto a 100 di nominale). Il loro rendimento resta alto (a due cifre percentuali) ma questo conferma l’estrema rischiosità dei titoli.



All’interno di questo rischio – in Europa dal 2014, operativamente dal 2016 – c’è quello che questi titoli finiscano azzerati in caso di “bail-in” di una banca. Ed è questo il “nodo Mps”: se per rimetterlo in sicurezza ripianando perdite occorresse – come sembra – qualche aiuto pubblico (ad esempio una ricapitalizzazione) prima dovrebbero essere penalizzati gli azionisti poi gli obbligazionisti subordinati, infine se necessario gli stessi depositanti, oltre la soglia dei 100mila euro. Su questi ultimi il premier Matteo Renzi ha messo tutt’e due le mani sul fuoco: se d’altronde non l’avesse fatto – o se la sua parola non valesse per intero – il collasso del sistema bancario nazionale sarebbe certo.



All’estremo opposto, gli azionisti del Monte hanno già perso tutto o quasi: il titolo venerdì quotava 27centesimi. Nel mezzo, i portatori di 5 miliardi nominali di obbligazioni subordinate: il 40% emesse con un prestito decennale nel 2008, all’indomani dell’acquisizione di Antonveneta (che giusto ieri Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera ha ricordato come “sciagurata”). Molti di questi bond sono stati collocati – allora – agli sportelli Mps: appositamente in tagli minimi (mille euro) con rendimenti che allora superavano il 7 per cento. Oggi quel rendimento (agganciato all’euribor) è crollato sui mercati “a tassi zero” e sul valore nominale, decurtato dal rischio, incombe la “soluzione finale”.



E’ per questo che il governo italiano sta premendo sull’Europa perché una delle deroghe al bail-in riguardi appunto i bond subordinati. Sullo sfondo viene agitato il fantasma del povero pensionato suicida di Civitavecchia, che aveva investito la sua liquidazione in bond subordinati di Banca Etruria. Dopo lo scrollone Brexit – aggiungeva ieri il Sole 24 Ore – i mercati sono scossi: gli investitori istituzionali prenderebbero malissimo un default di “bond italiani”, di bond bancari ridotti a carta straccia “perché il governo italiano non ha fatto nulla”.

Può darsi. Però non sarebbe male verificare chi sono oggi i reali possessori dei bond subordinati Mps. Ad esempio: il 20 gennaio scorso durante una delle molte giornate nere di Mps in Borsa, un investitore professionale della City di Londra – Davide Serra di Algebris – dichiarò a mercati aperti. “Mps è solida, investo su subordinati e debito senior”. Che Serra sia amico-consigliere-finanziatore del premier Matteo Renzi può essere secondario: quel che è certo è che non potrà mai reclamare di essere un piccolo risparmiatore poco informato o addirittura raggirato e quindi meritevole di deroghe Ue o di rimborsi a piè di bilancio dello Stato italiano o equivalente.

Quanti bond subordinati ha effettivamente comprato Serra in quei giorni (magari a prezzo stracciato dai piccoli sottoscrittori toscani)? E quanti ne ha oggi? E quanti, sempre ad oggi, ne hanno tenuti in portafoglio altri, perchè hanno seguito il pesce pilota “amico del premier italiano”? La Consob farebbe bene a tornare a setacciare le compravendite di bond subordinati Mps: come alla fine non ha fatto sulle azioni delle Popolari sotto riforma, nel gennaio 2015. Anche allora qualcuno speculò – probabilmente conoscendo in anticipo le decisioni del governo – e Serra era fra gli indiziati: ma cosa avrebbe dovuto fare, d’altronde, un hedge fund, quintessenza dell’investimento a rischio sul mercato?

“Chi sottoscrive un prestito subordinato, in maniera consapevole, si espone a un rischio più elevato rispetto all’obbligazione senior non subordinata. Chi acquista uno strumento ibrido di patrimonializzazione Upper Tier 1 corre rischi ben maggiori del subordinato Lower Tier 2. Questa subordinazione è chiara al mercato, agli investitori. E in condizioni normali funziona, cioè chi più rischia, più paga quando qualcosa va storto e lo fa senza battere ciglio”. Giusto. E’ l’attacco del commento del Sole 24 Ore di ieri. Che però poi ondeggia “Ma in tempi eccezionali, con Brexit, gli schemi saltano.I mercati, gli investitori, hanno i nervi scoperti. Sono divenuti ipersensibili alle cattive notizie e vedono nero, anche nelle zone d’ombra, anche nel chiaroscuro”. Certo che vedono nero: rischiano di perdere tutto, ma è nelle regole del gioco, a Londra e a Milano, a Siena e a New York, anche a Shanghai  ormai lo insegnano anche a scuola. Perché bisognerebbe derogare alle regole a spese del contribuente italiano? Perché, anzi, bisogna spendere quel poco rimasto della credibilità politica e del potere negoziale del governo italiano per salvare Davide Serra e i suoi compari londinesi?

Di Brexit – decisa in autonomia dai britannici – gli italiani stanno già pagando prezzi indebiti: compresa la necessità di salvare più in fretta Mps, sulla base dei calcoli di un’authority europea basata a Londra e dei crolli di Borsa provocati al di là della Manica. Ora va esonerato dal disturbo specifico il grande contributore della Leopolda? A proposito. Mps era notoriamente una banca a forte rischio già all’epoca della prima Leopolda, nel 2010. Che nessuno si presenti in giro a piagnucolare travestito da vecchietta truffata.