Da alcune centinaia di ore si dice che la soluzione per il Monte dei Paschi di Siena è questione di ore. Da molti mesi si giura che non esiste un problema Italia, ma c’è il problema di qualche banca e di una in particolare. Da anni si continua a ripetere che il sistema creditizio è sano e robusto, magari ingessato, cauto, timoroso di assumere rischi, ma quando la ripresa verrà tutto cambierà. Bene, la ripresa, quella vera, non arriva, i tentativi di ripartire sono stati frustrati, la crescita è stata rivista al ribasso anche dalla Banca d’Italia (siamo sotto l’un per cento). Prima la Cina, poi la Brexit, c’è sempre un fattore esterno che frena e non c’è mai un fattore interno che spinge. Quanto alle banche, non sembrano così sane come ci hanno raccontato. Non solo perché hanno ancora tanti crediti inesigibili o comunque difficili da riscuotere, non solo perché hanno bisogno di più capitale, ma soprattutto perché non fanno utili, non abbastanza da metterle in sicurezza.



Dunque, siamo sicuri che, al di là delle soluzioni che vengono escogitate con grande ricorso alla fantasia finanziaria, non ci sia bisogno di una strategia coerente e coraggiosa da parte del governo? In base alle ultime notizie, per Mps sta maturando una soluzione di mercato. I 26,6 miliardi di crediti a rischio verrebbero acquistati dal Fondo Atlante rimpolpato dalla Cassa depositi e prestiti. Il prezzo sarebbe vicino al 30% con un costo di circa due miliardi. Molto più complicato l’aumento di capitale, ma nel momento in cui il Montepaschi fosse alleggerito dai non performing loans (magari cominciando subito con i 10 miliardi di sofferenze) sarebbe più agevole trovare fondi di investimento disposti a entrare nel capitale, tenendo conto che il prezzo delle azioni adesso è davvero minimo e, secondo molti analisti, non può che salire. Non c’è che da attendere altre ore (o forse giorni), l’importante è trovare una via d’uscita prima che il 29 luglio si sappia che quasi certamente Mps non avrà superato lo stress test.



E la garanzia pubblica? Resta sullo sfondo, ma per il momento non ce ne sarebbe bisogno. Meglio così perché, nonostante quel che è stato fatto trapelare sui giornali, il negoziato con l’Unione europea sarà lungo e faticoso. I messaggi rassicuranti arrivati anche da Berlino, in realtà, servono a calmare gli eroici furori di Matteo Renzi e a prendere tempo. Un’operazione sistemica, cioè un intervento diretto e sostanzioso, ancorché temporaneo, dello Stato, viene osteggiata da Bruxelles. La Commissione si trincera dietro le regole le quali debbono valere per tutti. Si può chiudere un occhio, accettare una qualche flessibilità, ma bail-in è e bail-in sarà.



Anche se la bomba Mps verrà disinnescata prima del 29, il problema sistemico non cambia. Basta guardare alcune cifre diffuse dalla Banca d’Italia. Le famiglie italiane posseggono 200 miliardi di obbligazioni bancarie cosiddette senior, mentre ci sono 67 miliardi di obbligazioni subordinate, 31 dei quali detenuti dalla clientela al dettaglio, cioè da piccoli investitori. La metà dei titoli scade nel 2017, si tratta dunque di quasi 100 miliardi. C’è poco più di un anno per dare stabilità alle aziende creditizie nel loro insieme, rassicurando i risparmiatori che i loro bond potranno garantire i rendimenti attesi (in genere sono sempre stati superiori ai titoli di stato di almeno due punti percentuali).

Le banche, nel frattempo, dovranno cercare in altro modo quei cento miliardi, indebitandosi a condizioni diverse o rafforzando il loro capitale. Non sarà facile. Ciò vuol dire che il Tesoro continuerà a essere sollecitato a svolgere un ruolo attivo indirettamente o in modo più diretto. Torniamo così alla casella di partenza: si può trovare una scappatoia per il Montepaschi, tuttavia le banche italiane dovranno aumentare il capitale in modo consistente e per il momento non si trovano in Italia investitori in grado di farlo. Siamo di fronte a uno di quei “fallimenti del mercato”, come li ha chiamati più volte Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, che legittimano un intervento dello Stato.

In attesa di capire se e come può consolidare il capitale delle banche, il governo potrebbe esercitarsi anche in uno schema di applicazione del bail-in che possa salvare il più possibile i piccoli risparmiatori, cioè quelli che hanno tra i 100 e i 200 mila euro. C’è una proposta di Adam Lerrick dell’American Enterprise Institute, rilanciata dal Financial Times. Si tratta di aggregare le obbligazioni per tipologie omogenee (senior garantite, senior non garantite, subordinate). Poi si agisce sulla tipologia di bond da sacrificare (ad esempio, i subordinati) stabilendo la quota parte da salvare, quella che corrisponde all’investimento dei piccoli risparmiatori. La quota non protetta viene convertita in azioni o trasferita alla bad bank. Le perdite eccedenti la franchigia sono imputate pro-rata. In tal modo si realizza una perdita proporzionalmente identica per tutti, sullo stesso strumento finanziario, sopra la quota di “franchigia” intesa come protezione del piccolo risparmiatore.

Calandolo nel caso italiano, Lerrick stima che oltre il 90% degli obbligazionisti retail uscirebbe indenne dal bail-in, usando la soglia dei 200 mila euro. Mario Seminerio, che ha rilanciato questa proposta su Phastidio.net, la trova semplice e realizzabile. Chissà. Ma dimostra in ogni caso che una soluzione si può trovare, se lo si vuole e se il governo (o meglio il Tesoro in questo caso) prende in mano la situazione senza attendere i via libera della Commissione europea, la quale, come appare chiaro, sta giocando a rimpiattino.