C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico. Nel 1880 il governo il governo Cairoli abolì la tassa sul macinato, particolarmente odiata dai cittadini italiani perché colpiva l’alimento principe, la farina. Strappò un po’ di applausi, ma creò uno scompenso contabile che condusse in pochi anni a una riforma del catasto e a un incrudelimento dell’imposta immobiliare… Nel 1994 Silvio Berlusconi tappezzò l’Italia con i celeberrimi cartelloni di 6 metri per 3 che promettevano “Meno tasse per tutti”, da cui le parodie “Meno tasse per Totti” – partorito, pare, dallo stesso creativo che aveva ideato l’originale, per potenziarne l’effetto, il sondaggista Gigi Crespi – e “Cchiù pilu per tutti” di Cetto Laqualunque.



Oggi, dopo gli 80 euro, ingurgitati e digeriti da quegli irriconoscenti dei contribuenti italiani come se anziché costare al bilancio pubblico 10 miliardi di euro siano stati una mentina, e dopo l’abolizione dell’Imu, altra misura di schiettissimo copyright berlusconiano, il governo Renzi – in vista della difficile campagna di recupero del consenso ai fini innanzitutto referendari – torna a calcare la mano sul fisco, utilizzando però (giocoforza, perché soldi veri fa spendere in bilancio non ce ne sono) argomenti di carattere normativo e procedurale. Insomma: alla mala parata, il consenso elettorale in Italia non sa fare altro che giocare la carta del fisco. La storia si ripete.



È in quest’ottica che va letta un’innovazione “carina”, ma con tutta evidenza priva di effetti significativi, cioè “l’operazione simpatia” lanciata dall’Agenzia delle Entrate “per entrare in sempre più stretto contatto con i cittadini”, come dice la vulgata. Da ieri il cittadino può rivolgersi direttamente all’Agenzia aprendo una conversazione privata attraverso l’applicazione Facebook Messenger e scrivere la propria domanda. L’Agenzia promette risposta “in tempo reale”, ovvero in 24 ore o alla peggio entro cinque giorni: usare una chat su internet per rispondere con 24 ore (o 120!) di distanza fa pensare peraltro a quella canzone di Dalla “Telefonami tra vent’anni”.



Archiviata la nota di colore, resta all’ordine del giorno dell’amministrazione fiscale un altro tema ben più consistente e cioè la riforma di Equitalia e dell’Agenzia delle Entrate. A maggio il premier ha detto per la prima volta che intende cancellare l’agenzia pubblica per la riscossione. Che è antipatica quanto una ragade. Da allora l’ha ripetuto varie volte. L’ultima, poche ore fa: “Entro la fine dell’anno faremo il decreto che cambierà il nostro modo di concepire il rapporto tra fisco e cittadini. Confermo che entro l’anno bye bye Equitalia”, dove è rimarchevole l’evoluzione linguistica del “ciaone” infelicemente coniato dal renzianissimo piddino Ernesto Carbone in una sua traduzione inglese non letterale ma “ad sensum”…

Inglesismi a parte, cosa c’è dietro e dentro l’annuncio? Lucrezia Ricchiuti sarebbe la fonte migliore per dirlo, perché è stata relatrice al Senato dello “schema di decreto legislativo recante misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione”, cioè il documento effettivamente già all’attenzione del Parlamento per arrivare alla riforma o all’abolizione di Equitalia. Ma non lo è, perché civatiana doc e come tale esponente dell’opposizione a Renzi interna al Pd. Comunque, cosa dice la Ricchiuti? Che “bisognerebbe avere molta più cautela e prudenza quando si mandano messaggi politici che appaiono risolutivi, specie quando si ha a che fare con migliaia di lavoratori che svolgono un ruolo essenziale per il recupero delle entrate nello Stato e che ora si domandano quale sia il loro destino professionale”. L’allusione è appunto ai circa 8 mila dipendenti di Equitalia, che al momento si sentono considerati come scorie industriali, pur essendo incaricati dalla legge di una funzione ovvia e inderogabile come quella della riscossione coattiva delle tasse…

Per snebbiare tutto questo “fumo negli occhi” che aleggia attorno agli annunci fiscali del governo, è utile rileggersi l’opinione dell’unico che ci capisce di fisco, nella compagine dell’esecutivo (è commercialista!), cioè il viceministro all’Economia Enrico Zanetti, segretario contestato di Scelta Civica, che ha appena apportato se stesso e altre tre dei parlamentari del suo gruppo all’Ala di Denis Verdini, divenuta così ancora un po’ più rilevante per la tenuta della maggioranza: “Se l’obiettivo è rendere la riscossione dei tributi meno ossessiva nei casi in cui chi non paga è perché non ce la fa, non è quella la strada. Quando Renzi dice ‘via Equitalia’, ha chiaro che il problema non è cambiare il nome dell’Agenzia o assorbirla, bensì continuare a cambiare le regole d’ingaggio, peraltro già un po’ ammorbidite, con cui Equitalia si avvicina ai contribuenti e rendere più flessibili le regole su riscossione, che ogni anno consentono di riaprire anche le rateazioni scadute…”. 

Comunque, per Zanetti la soluzione più probabile – che cioè Equitalia finisca assorbita dentro l’Agenzia delle Entrate – “sarebbe già una scelta attuativa e non la migliore. A monte, c’è il problema che la macchina fiscale in Italia è stata per lungo tempo in completa autogestione, era l’Agenzia che diceva al Ministero cosa fare, scrivendo regolamenti che a volte smentivano le leggi”. Secondo una proposta di legge del presidente della commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, dovrebbe appunto essere l’Agenzia, che la controlla al 51% (l’altro 49% è dell’Inps) ad accollarsi i dipendenti dell’ente, che passerebbero dal settore privato a quello pubblico. Si vedrà.

Tornando sulla terra, e per concludere, giova annotare che in base all’attuale quadro normativo gli strumenti più odiati – e in alcuni casi definibili “vessatori”- resterebbero: ganasce fiscali e prelievi coatti ad esempio. In compenso, nel Pdl Boccia, si ridurrebbe l’aggio a carico del contribuente che paga entro i 120 giorni dalla contestazione (il che è quasi un invito a pagare con 120 giorni di comodo rinvio); peraltro la Legge di stabilità 2016 ha già abbassato al 3% della cartella esattoriale l’onere aggiuntivo su chi paga entro 60 giorni. Altro gesto carino, ma, insomma: ritocchi, rimaneggiamenti, però fatalmente niente di incisivo, né di significativo. E come si potrebbe, con i nostri strutturali problemi di entrate fiscali?

Resta la politica degli annunci, ma quella è una costante, dal governo Cairoli in qua. E pensare che allora non c’era Facebook.