L’Italia non è un Paese per le privatizzazioni. Anche il Governo Renzi, che ha evidente necessità di trovare le risorse necessarie per cercare di abbassare un rapporto debito/Pil sempre più elevato e preoccupante, sembra essere bloccato su questo fronte. Prima il continuo rinvio della vendita di Ferrovie dello Stato o Trenitalia (non è ancora chiaro quale parte dell’azienda si voglia vendere), successivamente la vendita di solo una parte delle quote di Poste Italiane e ora le polemiche sulla vendita di quote di Enav, indicano che il Governo vorrebbe fare, ma non riesce a essere troppo convinto.
In Italia, spesso confondiamo la parola liberalizzazione con privatizzazione e ancora più spesso si definisce una privatizzazione quella che è in realtà la vendita di una parte aziendale. Liberalizzazione è quel processo che permette di aprire alla concorrenza. Pensiamo all’apertura del mercato aereo a fine anni Novanta, con il successivo arrivo delle compagnie low cost o alla competizione che si è venuta a creare dopo l’arrivo di Italo nel mercato ferroviario ad alta velocità. Liberalizzare significa dare maggiori opportunità di scelta al consumatore e di solito ridurre i sussidi statali in determinati settori.
Privatizzare è vendere la maggioranza azionaria di aziende che prima erano pubbliche. E di aziende pubbliche in Italia ne abbiamo tantissime (si pensi solo ad Atac e a tutte le municipalizzate). Privatizzare serve a migliorare l’efficienza di un’azienda (si pensi alla gestione dell’Alitalia pubblica), tagliare i sussidi pubblici (Alitalia pubblica ne prese 4 miliardi in 10 anni) e spesso a farne uscire la politica dalla gestione (vedi Atac).
Nel caso Enav, tuttavia non si tratta di una vera e propria privatizzazione, dato che il Governo vuole vendere una quota importante, ma di minoranza dell’azienda (al massimo il 46,6%). L’offerta pubblica di vendita è comunque un primo passo verso una vera privatizzazione. Non è un caso che i sindacati siano preoccupati, perché nel momento in cui si privatizza non c’è più posto per una gestione inefficiente dell’azienda. Ricordiamoci il potere dei sindacati nella vecchia Alitalia.
Una delle critiche principali all’Opv di Enav è quella che non viene fatta nel momento migliore, vista la caduta del mercato azionario. Questo sicuramente è vero, anche se va ricordato che negli ultimi anni i mercati azionari sono cresciuti molto. Quindi questa critica va contestualizzata ed è solo parzialmente vera.
Lo Stato comunque potrebbe incassare quasi un miliardo di euro da questa parziale privatizzazione ed è logico che i servizi di Enav possono essere gestiti senza alcun problema dal privato. Il punto importante è quello che essendo un monopolio naturale, ci vuole un regolatore forte e indipendente. In Italia, l’Autorità dei trasporti si sta affermando come tale, ed è per questa ragione che le tariffe dovranno essere decise da un’autorità indipendente.
Solo in questo modo sarà possibile che Enav non massimizzi i propri profitti a discapito delle compagnie aeree e faccia tutti gli investimenti necessari. Quindi, non c’è alcun problema nella gestione privata dei servizi Enav a patto che l’Autorità abbia un chiaro e forte compito regolatorio, come sta già succedendo, ad esempio, nel settore ferroviario.
Semmai i punti dubbiosi di questa parziale vendita sono altri. Perché lo Stato vende solo una quota di minoranza, lasciando di fatto il controllo al settore pubblico? Perché ancora una volta non si fa una vera e propria privatizzazione (perdita del controllo statale)? E torniamo al male che affligge l’Italia: l’incapacità della politica di saper fare delle buone regole senza pensare di potere gestire direttamente un’azienda.
Sembra che la sindrome della vecchia Alitalia, di gestione pubblica delle aziende, e il suo fallimento, non abbia insegnato molto alla nostra classe politica che continua ad “amare” una gestione diretta delle aziende. Il motto di tutta la classe politica, in primis il Movimento cinque stelle potrebbe essere così sintetizzato: “L’Iri è morto, viva l’Iri”.