“Se si vuole continuare a fare gli ipocriti, si prende Atlante e si va a dire a Bruxelles a dire che si tratta di un’operazione privata”, ha sferzato ieri Francesco Boccia, presidente Pd della commissione Bilancio della Camera. “Per Mps ci voglio soldi veri”, ha detto il parlamentare “dem” in polemica con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. I soldi veri (un paio di miliardi?) li dovrebbe iniettare la Cassa depositi e prestiti, che già ha investito 500 milioni in Atlante.
Il fondo nazionale “salva banche” promosso tre mesi fa da una sessantina fra banche, fondazioni e assicurazioni, ha raccolto 4,2 miliardi, ma ne ha impiegati già 2,5 per ricapitalizzare Popolare di Vicenza e Veneto Banca. La sua capacità d’intervento è quindi ridotta, anche se proprio nelle ultime ore Quaestio Sgr – che gestisce Atlante – ha preso contatto con il Montepaschi per un possibile intervento sui 10 miliardi di crediti in sofferenza (Npl) che la vigilanza Bce ha imposto di smaltire. Mentre lo stesso presidente della Bce, Mario Draghi, ha espresso una inusuale apertura verso il salvataggio pubblico del Monte, sta comunque prendendo forma un’operazione-ponte: JPMorgan assicurerebbe una linea finanziaria d’emergenza per cartolarizzare il grosso degli Npl. Ciò – presumibilmente – servirebbe anche a guadagnare tempo per rafforzare Atlante, affiancarlo con un gemello (“Magiste”) o anche alleggerirlo al più presto dei due fardelli presi in carico nelle ultime settimane nel Nordest.
Come stia operando Quaestio-Atlante a Vicenza (dov’è stato nominato presidente Gianni Mion e confermato ad Francesco Iorio) e a Montebelluna al di là delle dichiarazioni di circostanza non è chiaro. Sui media rimbalzano nomi di fondi di private equity interessati a rilevare una o entrambe le banche (il più citato è Atlas), ma sembrano soprattutto ballon d’essai: che ovviamente Alessandro Penati lascia correre volentieri. La realtà – confermata giusto ieri dall’autorità di risoluzione bancaria – parla in modo più duro: per le quattro good bank risolte in novembre (Etruria, Marche, Carife e Carichieti) sarebbero giunte solo tre offerte – e forse solo due effettive – a valori molto inferiori ai capitali immessi dal sistema bancario nazionale per salvarle.
Quindi Atlante dovrà prevedibilmente cambiare schema: rispetto all’ipotesi da manuale di rivendita con profitto, ma anche rispetto all’opzione opposta. Ristrutturare le due banche e rilanciarle gradualmente in attesa di una possibile quotazione in Borsa o di un compratore strategico fra alcuni anni non è compatibile con l’esigenza di liquidare almeno una parte dell’investimento. Fondere le due banche – come caldeggia il governatore leghista del Veneto Luca Zaia – difficilmente porterebbe a un’accelerazione: anzi. L’esigenza di razionalizzare il nuovo polo – da parte di un azionista nuovo e molto ibrido nella fisionomia – rallenterebbe ulteriormente il percorso.
Una way out alternativa – apparentemente non scintillante – appare quella di agganciare una o entrambe le Popolari del Nord-est a uno dei progetti di riassetto in corso nel comparto: ad esempio, quello i cui contorni si stanno delineando presso la Banca Popolare dell’Emilia Romagna, certamente interessata a Veneto Banca, potenzialmente in una combinazione più ampia con il Credito valtellinese. Ma non si può escludere neppure che il piano principale del settore – Banco Popolare-Bpm – quando maturerà (entro ottobre) mostri capacità d’attrazione verso Nordest.
È ovvio che i rischi giudiziari che pendono su entrambe le Popolari controllate da Atlante rendono ulteriormente incerto lo scenario: e – a proposito delle “ipocrisie” citate da Boccia – i comportamenti delle Procure (a Vicenza come ad Arezzo) non hanno certamente contribuito a stabilizzare le diverse crisi. Né ha torto l’esponente della minoranza Pd a criticare Padoan: ma resta il sospetto che lo faccia (ora) prendendo a pretesto il caso Mps per cavalcare le tensioni interne al centrosinistra (Padoan è stato in passato stretto collaboratore di Massimo D’Alema).
Un po’ di “ipocrisia” filtra anche nell’improvvisa escalation della vigilanza Bce contro il Monte: un po’ (forse) per depistare l’attenzione dei mercati dalla crisi Deutsche Bank, un po’ per tenere sotto scacco Draghi, che nel caso Mps ha un suo tallone d’Achille. Ed è ovvio che Draghi sia stato costretto a reagire, lui stesso con un pizzico d’ipocrisia. Perché è chiaro che la stabilità del sistema bancario o la protezione del risparmio non c’entrano nulla. Ma anche negli States sta maturando solo ora il redde rationem di tutte le ipocrisie politico-finanziarie derivate dalla crisi del 2008. La più grossa è stata certamente l’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca. Che forse non avrà Donald Trump come successore, ma questo è un altro discorso: e ci sarà tempo di farlo mentre il governo Renzi si affanna attorno alla crisi bancaria italiana del 2016.