Il nuovo amministratore delegato di UniCredit, il francese Jean Pierre Mustier, è stato nominato il 30 giugno e ha iniziato il suo lavoro il 12 luglio. Un’ora dopo la sua designazione, in una dichiarazione di cinque righe, ha chiarito al mercato ciò su cui il mercato voleva chiarezza: UniCredit non vuole rinunciare alla sua dimensione paneuropea e valuta un aumento di capitale. Nei primi giorni di luglio, UniCredit ha collocato sul mercato due quote del 10% di due sue controllate pregiate (Pekao in Polonia e Fineco in Italia): l’operazione non ha avuto riflessi strategici e ha invece dato al gruppo la certezza di superare agevolmente lo stress test Eba in via di ufficializzazione venerdì.
Il giorno del suo insediamento, Mustier ha illustrato al consiglio presieduto da Giuseppe Vita la sua decisione di avviare una profonda “revisione strategica”. Ai mercati è stato dato un ulteriore elemento: un nuovo masterplan sarà ultimato entro l’autunno e conterrà l’indicazione puntuale dei capitali freschi che verranno richiesti ai soci stabili e al mercato. Un’assemblea straordinaria sarà dunque convocata prima della fine dell’anno: sarà anche l’occasone per la ratifica dei due nuovi ingrssi in consiglio (Mustier e Sergio Balbinot, attualmente membro del consiglio di direzione di Allianz). Ma non è escluso che il board di UniCredit possa essere interessato da aggiustamenti più ampi: tenuto anche dei possibili riequilibri nell’azionariato prospettabili con l’aumento (già all’ultima assemblea gli investitori istituzionali pesavano di più di quelli rappresentati in cda).
Intanto, entro l’arco di due settimane, il nuovo Ceo ha provveduto a un ampio rimaneggiamento del management. Il chief operating officer Paolo Fiorentino ha lasciato la banca; il chief financial officer Marina Natale e il country manager per l’Italia Gabriele Piccini sono stati destinati ad altro incarico; Giovanni Franco Papa (cui ha fatto capo la controversa garanzia all’aumento della Popolare di Vicenza) è stato designato direttore generale, ma ha lasciato la guida operativa del corporate & investment banking (che Mustier aveva retto personalmente in UniCredit fino al 2014); il chief risk officer Massimiliano Fossati è stato affiancato da un vice (esattamente un anno fa l’allontanamento da quel ruolo di Alessandro Decio aveva reso conclamata la crisi al vertice di UniCredit).
Ieri il titolo UniCredit ha ceduto leggermente in Piazza Affari (-2,2% a 2,22 euro): anche per il nervosismo persistente attorno a Mps e al settore bancario italiano. L’azione è comunque rimasta ben sopra il minimo registrato il 7 luglio: in 14 sedute di Borsa ha recuperato il 31%. I massimi di un anno fa (5,5 euro) sono ancora lontanissimi e il turnaround della prima banca italiana – l’unica inclusa fra le europee di importanza sistemica – è ancora all’inizio: e forse soltanto alla fine del mandato di Mustier potrà essere valutato o meno un “caso di successo”. Tuttavia qualche nota a margine è già possibile.
Tre mesi fa UniCredit era la banca “madre di tutti i problemi”: per essersi ritirata all’ultimo dalla ricapitalizzazione-salvataggio della Popolare di Vicenza, obbligando governo e Bankitalia a lanciare il fondo salva-credito Atlante. È stato l’ultimo di una serie di incidenti che – soprattutto nell’ultimo anno – ha progressivamente incrinato i rapporti fra UniCredit e i mercati finanziari (ma anche con le autorità di vigilanza e con la clientela). Già lo scorso novembre un piano strategico – preparato dall’allora amministratore delegato Federico Ghizzoni e imperniato soprattutto sul taglio dei dipendenti – era stato respinto da analisti e gestori. La decisione stessa di avvicendare Ghizzoni è stata faticosa e la sua sostituzione è stata lunga, laboriosa, dibattuta: all’interno della governance del gruppo e con i grandi investitori di mercato. Brexit e il rinfocolarsi della crisi Mps non hanno certo aiutato il gruppo di piazza Gae Aulenti. Che alla fine, tuttavia, ha deciso di aiutarsi da solo ed è riuscito a rimettersi in piedi e a muovere primi passi dopo molti mesi di paralisi.
Le difficoltà di Mps sono molto più serie di quelle di UniCredit. E il Monte non è – forse – nelle condizioni fondamentali di venirne fuori da solo: certamente dopo il diktat della Bce sullo smaltimento urgente di 10 miliardi di sofferenze. Però anche in piazza Gae Aulenti il problema – alla fine – non erano le cifre o i parametri di vigilanza: era la necessità di prendere atto che a un modo di gestire una banca come UniCredit bisognava por fine al più presto, affidando il gruppo a persone nuove, caratterizzate da stili e metodi diversi. È stato fatto e oggi – certamente – UniCredit non è più percepito come un vascello senza pilota pronto a esplodere da un istante all’altro. Perché a Siena – o a Roma – nessuno prova a fare altrettanto?
Il fatto che a cambiare non sia riuscito neppure l’ex Ceo di UniCredit, Alessandro Profumo, dopo due aumenti di capitale non è un’attenuante. Anzi, è un motivo per troncare un passato che a Siena non sembra passare mai.