Nelle democrazie basate su un modello di mercato aperto ed economia competitiva una parte crescente della popolazione non riesce ad accedere alla ricchezza. Questa massa di persone impoverite o che temono la povertà nel loro futuro ha un impatto destabilizzante sui processi politici: il consenso si sposta verso offerte politiche di protezionismo sociale, di rifiuto del mercato aperto e di chiusura nazionale, spesso caricate di linguaggi xenofobi.
La vittoria della Brexit nel referendum è un segnale chiaro di questo fenomeno: buona parte degli “uscitisti” ha votato contro la loro esclusione dalla ricchezza più che per la separazione dall’Ue. Un fenomeno simile in America ha fatto vincere il linguaggio nazional-protezionista di Trump, a cui ha aderito gran parte della classe media bianca in ansia, e costretto l’offerta di sinistra moderata di Clinton a spostarsi verso toni estremi. In molte nazioni europee sono visibili fenomeni simili pur variati da specificità nazionali, ma tutti causati dall’aumento dell’ansia sociale, da una profezia pessimista.
Per inciso, questo fenomeno è visibile nell’economia tecnica in forma di maggiore propensione al risparmio per motivi prudenziali e di minore spesa per i consumi, a livello di famiglie, e di rinvio degli investimenti da parte delle imprese che osservano nei dati un andamento piatto o in contrazione della domanda in parecchie nazioni, tra cui l’Italia.
L’idea che l’ansia sociale sia curabile con immissioni di megaliquidità da parte delle Banche centrali è sfumata perché i dati mostrano che il denaro più abbondante va nelle tasche dei ricchi che diventano più ricchi e non entra in quella dei poveri che tendono a diventarlo di più. In sintesi, sta scoppiando nel mondo del capitalismo democratico la mina della disuguaglianza negli accessi alla ricchezza. E se questo problema non verrà risolto sarà molto difficile tenere in vita il modello di capitalismo democratico aperto e il mercato globale. Con una complicazione: chi è in ansia favorisce soluzioni economiche che poi peggiorano le cose. Questo problema era già visibile, pur con masse minori, a metà degli anni ‘90 quando Tremonti, Luttwak ed io lo analizzammo nel libro “Il fantasma della povertà”.
La soluzione c’è: un nuovo tipo di Stato sociale non contro il libero mercato, ma con la missione di rendere ogni individuo capace di operare con successo nel mercato competitivo e aperto. C’è ancora del tempo per applicare questa o simile soluzione nelle democrazie in via di destabilizzazione, e nell’Ue, ma non tanto.