Dunque Montepaschi finirà come Popolare di Vicenza e Veneto Banca, salvo che al posto di Atlante vi sarà un tandem di banche d’affari: JPMorgan e Mediobanca. Saranno loro (come erano inizialmente impegnati a fare UniCredit sulla Vicenza per 1,5 miliardi e Banca Imi su Veneto per un miliardo) che immetteranno in Mps circa 5 miliardi, tanto si stima il capitale fresco necessario a reintegrare le perdite del programma di dismissione degli Npl che zavorrano il gruppo senese. Può darsi che qualche azionista singolo vecchio o nuovo si affacci da subito al “salvagente” Mediobanca-JPMorgan: ad esempio, non sarebbe sorprendente vedere le Generali far capolino, naturalmente una volta chiarita (amichevolmente) la posizione di Axa, finora azionista del Monte.



Nel frattempo, tuttavia, la notizia sembra essere che gli eredi di Enrico Cuccia tornano ad “avere una banca”, nel gergo dei Pci-Pds-Ds-Pd finora egemoni su Rocca Salimbeni. E sono più di vent’anni che via Filodrammatici (solo dal 2000 “Piazzetta Cuccia”) “non ha più una banca”. Per la verità fino al 1994 ne aveva ben tre: le gloriose Bin (Comit, Credit e Banca di Roma), che fin dalla fondazione nel 1946 erano azioniste di controllo, ma soprattutto grandi polmoni di raccolta per obbligazioni e certificati Mediobanca. Come usava nel ventesimo secolo, la convenzione che vincolava le tre Bin a collocare prodotti di raccolta Mediobanca era addirittura quarantennale. Le privatizzazioni hanno cambiato tutto o quasi: il Credit (divenuto UniCredit e accorpato con Banca di Roma divenuta Capitalia) è l’unico rimasto fra i tre storici pilastri, mentre la Comit (prediletta da Cuccia) è da tempo sparita in Intesa Sanpaolo.



Dalla scomparsa del fondatore, seguita a ruota dalla fuoriuscita del delfino Vincenzo Maranghi, l’Istituto è impegnato nell’affannoso tentativo di “ri-avere una banca”. Due iniziative sono state alla luce del sole, entrambe con risultati non soddisfacenti. Banca Italease (più virata sul “corporate” evoluto) è stata quotata da Piazzetta Cuccia, ma lasciata nell’alveo consortile delle Popolari: nel quale è disastrosamente affondata. CheBanca! – invece – è stata un tentativo strutturato di aggredire il mercato della raccolta sulle orme di esperienze avanzate come Ing o Fineco. I risultati però, non sono ancora arrivati. E sono ormai storia lontana o recente le Popolari che Mediobanca aveva messo nel mirino con i pretesti più diversi (un aumento di capitale o un salvataggio): Lodi o Verona, Vicenza e Veneto, passando per l’Emilia-Romagna. Per non parlare di UniCredit stesso: di cui si è riparlato perfino nelle ultime settimane, ma che sembra ormai destinato definitivamente negli annali mitologici.



Invece Mps è reale, è quasi fatto. Ripulita dalle sofferenze (con l’aiuto di Atlante, cui Mediobanca non ha aderito, e delle garanzie pubbliche Gacs), Rocca Salimbeni è la terza banca italiana, con una buona presenza anche nella aree più avanzate dell’ecoomia-paese. Annientata la proprietà municipale “dal 1472”, Mediobanca rimane un’entità molto radicata nella civiltà toscana: fu al Rotary Club Firenze che Cuccia parlò forse l’unica volta in vita sua delle origini dell’Istituto. Toscano era Maranghi, toscane molte delle famiglie nell’originario nocciolo duro dell’Istituto. Tanto può bastare, per ora, sia al premier (toscano) Matteo Renzi, quanto al suo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan (luogotenente di Massimo D’Alema) e infine anche al presidente della Bce, Mario Draghi, che nel dissesto Mps ha sempre avuto il suo tallone d’Achille, puntualmente sfruttato da tutti i suoi avversari franco-tedeschi a Francoforte.

P.S.: Scommettiamo volentieri che le azioni legali avviate da Mediobanca e partners contro l’Opas vincitrice di Urbano Cairo su Rcs saranno presto ritirate e dimenticate. E chissà che non accada lo stesso per la reazione legale di Mediaset al ritiro dell’offerta d’acquisto su Premium avanzata dal polo Vivendi del finanziere francese Vincent Bolloré.