La Commissione Ue ha deciso di non sanzionare Spagna e Portogallo, nonostante i due Paesi non siano riusciti a centrare gli obiettivi di risanamento dei conti pubblici. Il collegio dei commissari ha spiegato che la sospensione delle sanzioni si giustifica con le “circostanze eccezionali” in cui si trovano i due Paesi iberici nonché con i “grandi sforzi” che finora hanno compiuto. Pierre Moscovici, commissario Ue agli Affari economici, ha spiegato che “le sanzioni, anche simboliche, non avrebbero permesso di correggere il passato e non sarebbero state comprese dalla gente. Il nuovo patto di stabilità funziona e i deficit stanno calando in tutta Europa”. Per Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, «l’Europa è come una famiglia nella quale prima si litigava su tutto, poi c’è la perdita di una persona cara e si finisce per litigare tutti di meno. La Brexit ha reso più ragionevoli quanti devono applicare le regole di Bruxelles».
Professore, se Spagna e Portogallo non hanno centrato gli obiettivi è anche perché le ricette europee non funzionano?
Le politiche europee dovrebbero essere orientate a una maggiore espansività fiscale. Non basta il Quantitative easing della Bce, ma ci vorrebbe l’altra gamba che è quella di una politica fiscale espansiva a livello europeo in grado di rilanciare l’economia e quindi di fare crescere il Pil in modo da mettere a posto i bilanci pubblici.
Attualmente ciascuno Stato decide le sue politiche fiscali in modo autonomo…
La concorrenza fiscale in Europa è un fatto devastante. Come documenta la decisione di Exor di lasciare l’Italia, non ha nessun senso chiedere la disciplina fiscale per i Paesi europei e poi lasciare che i singoli Stati si facciano concorrenza tra di loro. Questa concorrenza al ribasso favorisce i Paesi che hanno le aliquote più basse, mentre ci dovrebbe essere un’armonizzazione fiscale che preveda una forchetta oltre la quale non si possa andare.
Perché ritiene che la concorrenza fiscale sia un fatto devastante?
Perché poi ci si ritrova con Paesi come l’Irlanda che fanno concorrenza a tutti gli altri, producendo così effetti negativi per la crescita degli altri Stati. In realtà, la crescita irlandese per metà è dovuta al fatto che le aziende vanno a mettere la sede fiscale a Dublino, ma non stanno creando valore su quel territorio, anche se di fatto le entrate fiscali vanno a migliorare i conti pubblici.
Oggi un parametro come il rapporto deficit/Pil ha ancora senso?
Sì, il rapporto deficit/Pil è importante perché serve a tenere sotto controllo la crescita del debito. Quello che non ha senso è il Fiscal compact che è soltanto uno spauracchio per cercare di stimolare la disciplina fiscale dei Paesi, ma di fatto non è mai stato rispettato da nessuno. Sarebbe stato meglio costruire delle regole su basi diverse.
Quali?
Il rapporto debito/Pil può essere messo in ordine ponendo le basi per una crescita economica. Cercare invece di lavorare solo sul numeratore, cioè sulla riduzione del deficit, produce effetti negativi più che proporzionali sul Pil e quindi finisce per peggiorare l’indicatore di bilancio.
La scelta di non sanzionare Spagna e Portogallo è l’ennesimo esempio dell’utilizzo di due pesi e due misure?
Ritengo che la spiegazione sia un’altra, e vorrei formularla ricorrendo a una metafora. L’Europa è come una famiglia nella quale prima si litigava su tutto, poi c’è la perdita di una persona cara e si finisce per litigare tutti di meno. Trovo molto interessante che Moscovici abbia detto: “Un approccio punitivo non sarebbe stato la strada migliore nel momento in cui i popoli dubitano dell’Europa”.
Fuor di metafora qual è l’evento che ha prodotto questo cambiamento?
Il referendum nel Regno Unito. La Brexit ha avuto l’effetto positivo di fare ragionare i Paesi, portandoli a comprendere che l’Europa dovrebbe essere qualcosa di diverso. Servono più solidarietà e cooperazione e meno sanzioni e punizioni, fondate tra l’altro su regole sbagliate. Questa maggiore ragionevolezza non dovrebbe essere sinonimo del fatto che ognuno fa quello che vuole, bensì di politiche fiscali europee più espansive e di una maggiore armonizzazione fiscale. Anche se questo ovviamente è ancora un traguardo da raggiungere.
Questa novità negli atteggiamenti europei sarà duratura?
Staremo a vedere. Per ora il dato di fatto è che c’è stata una presa di coscienza del fatto che l’Europa non è irreversibile, e che quindi è un valore che va preservato e tutelato. Bisogna quindi impegnarsi di più affinché le opinioni pubbliche siano favorevoli all’idea di Europa. Questa lezione è arrivata anche a Bruxelles.
(Pietro Vernizzi)