Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi non è – come magistralmente Giuseppe Prezzolini iniziò la sua biografia di Macchiavelli – un fiorentino nato con gli occhi aperti. È fiorentino, o almeno nato nei dintorni della città del Giglio, fa sembrare di essere luciferino, ma è probabilmente un boy scout ingenuo tanto quanto, a 41 anni, lo era Sir Robert Baden-Powell, barone di Gilwe, di cui condivide lo spirito ma non certe tendenze private.



Sul piano interno, ha costruito una legge elettorale a pennello per dare Governo e Parlamento ai pentastellati e una riforma costituzionale che costringerà la Corte Costituzionale a turni estenuanti (attenzione: i supremi giudici sono anziani e alcuni di loro rischiano di non reggere lo sforzo) per districare, in caso di approvazione del referendum, le numerose contraddizioni e ambiguità del testo.



La sua innocente ingenuità è stata vista a tutto tondo nelle ultime vicende del negoziato con il resto dell’Unione europea in materia di supporto alle banche italiane in difficoltà. Dopo una lite pubblica con la Cancelliera Angela Merkel, che ha il controllo della stanza dei bottoni, grandi abbracci con il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker (un bravo lussemburghese che tenta, come può, di accontentare tutti) con il quale aveva avuto un diverbio pochi mesi fa, senza accorgersi che il contentino di Juncker era – si direbbe inglese elegante – una presa per i fondelli e – in ruvido scozzese della Highlands – un volgarotto up your kilt!-



Andiamo con ordine. Quando, nel 2008 o giù di lì, scoppiò la crisi finanziaria, l’Italia ufficiale (Banca d’Italia, Presidenza del Consiglio) si vantò di avere “il sistema bancario più solido al mondo” (o quanto meno in Europa) a ragione delle riforme effettuate alla fine del secolo scorso; si ammetteva la necessità di qualche “ritocchino” alle banche locali, ma modesto. Quindi siamo andati con gli occhi sicuri verso l’unione bancaria, senza troppo curarci della direttiva della Brrd entrata in vigore il primo gennaio scorso che prevede non solo responsabilità per azionisti e management di istituti sull’orlo del dissesto, ma anche per i detentori di obbligazioni secondarie (l’ormai noto bail-in). La folta delegazione italiana che negoziava l’unione bancaria o non era stata sensibilizzata o pensava che lo Stellone della Repubblica e San Gennaro ci avrebbero comunque aiutato.

Quando le nuove regole andarono al Parlamento europeo per la co-decisione (con il Consiglio Ue), economisti e giuristi italiani discussero con membri italiani del Parlamento stesso la possibilità di una fase di transizione. La proposta non venne neanche articolata e sollevata poiché agli eurodeputati sembrava più importante che la Germania e altri dessero il loro consenso al “terzo pilastro” dell’unione bancaria (la garanzia comune per i correntisti con depositi inferiori a centomila euro), su cui non si è ancora ottenuto nulla. Non vi fu cenno al problema, al Parlamento italiano, quando i testi vennero speditamente ratificati.

Ci accorgemmo di quanto quel tipo di bai-in mordeva e colpiva piccoli risparmiatori quando Banca Etruria e altri tre istituti vennero salvati in extremis, sollevando perplessità a Bruxelles e un forte interesse da parte della Procura della Repubblica in Italia. Da allora, altre banche paiono in serie difficoltà e la diplomazia economica internazionale dell’Italia è alla ricerca di una deroga che consenta interventi per la ricapitalizzazione.

Numerose testate internazionali hanno riportato una nota dell’agenzia Reuters secondo cui, al recente Consiglio Europeo, l’Italia avrebbe tentato (senza riuscirci) di fare sancire, nella confusione creata dalla Brexit, un’interpretazione di comodo delle deroghe al bail-in (e degli aiuti a banche in difficoltà) quali previste dalla regole sinora approvate dell’unione bancaria. La Cancelliera Merkel ha reagito duramente andando in televisione e affermando che la normativa bancaria non si cambia ogni due anni. Al che il Presidente del Consiglio Renzi è andato anche lui di fronte alla telecamere (sa di essere telegenico) richiamando la deroga concessa dal Consiglio europeo a Francia e Germania nel 2003. Ciò ha fatto andare in vera collera i tedeschi, i francesi e altri.

La deroga del 2003 (ossia all’inizio dell’unione monetaria) è stata basata sull’articolo 104 del Trattato di Maastricht in cui si prevede la possibilità di derogare a uno solo dei due parametri chiave in caso di “circostanze eccezionali” come gli uragani che in quegli anni devastarono Francia e Germania. Tale deroga – si aggiunge con malizia a Berlino, Bruxelles e Parigi – potrà essere chiesta dall’Italia per il deficit di bilancio se si verificano “circostanze eccezionali” e quando il rapporto debito Pil sarà giunto al 60% (ora al 132%; alla firma del Trattato di Maastricht era al 105%). Quindi, la situazione è diventata ancora più tesa.

Nel corso della giornata di giovedì 30 giugno, anche in seguito a un rapporto del Fmi, è apparso chiaro che alcuni grandi banche straniere (tra cui Deutsche Bank) hanno una forte porzione di crediti deteriorati nelle proprie attività. Ciò ha dato agio a Jean-Claude Juncker di individuare una soluzione, al di fuori della normativa sull’unione bancaria, nelle deroghe alle norme sugli aiuti di Stato in modo da consentire una “rete di sicurezza” (sino alla fine dell’anno in corso) nell’eventualità di difficoltà di liquidità. E di emettere un comunicato in tal senso la sera del 30 giugno.

Grandi titoli nelle prime pagine del primo luglio. Bevute di prosecco a Palazzo Chigi (lo champagne non si addice all’austerità). Quasi non ci si rendesse conto che il provvedimento Juncker (già in vigore, peraltro, per altri Paesi) non ha nulla, assolutamente nulla, a che fare con la richiesta dell’Italia. Riguarda eventuali problemi di liquidità (anche grazie alla Bce nel Bel Paese non se ne soffre), non la ricapitalizzazione che per molti istituti è urgente. Anzi, il comunicato Juncker rischia di aumentare l’incertezza su ricapitalizzazione e sofferenze. A tarda ora di sabato 2 luglio uno spiffero da Bruxelles ha fatto trapelare la possibilità di “supporti precauzionali” per aumenti di capitale purché non da parte di investitori istituzionali. Una nuova beffa.

Tutti gabbati – dicono Boito e Verdi nella “fuga” con cui termina Falstaff – aggiungendo Ride bene chi ride la risata finale. Per ora Angela Merkel. Nel suo appartamento di tre stanze e cucina di fronte al museo assiro babilonese. Ascoltando il divertentissimo I Maestri Cantori di Norimberga.