Già nell’estate di undici anni fa Luigi Zingales si sbracciava sulle pagine del Sole 24 Ore: il sistema bancario italiano era in pericolo, bisognava salvarlo in fretta. Andavano messe in salvo – quelle banche – dagli attacchi di retroguardia dello “Stato”: da un governatore della Banca d’Italia – Antonio Fazio – deciso a difendere i suoi poteri di vigilante bancario nazionale sul “mercato”.
La City – che allora sembrava divenuta definitivamente la capitale dell’Europa globalizzata – premeva con le sue Opa su AntonVeneta e Bnl. Fazio aveva risposto organizzando due controfferte di mercato (Popolare Italiane e “razza padana” e Unipol-immobiliaristi romani), all’insegna comunque della regia pubblica di via Nazionale. Non vale più la pena di riepilogare come finì: con l’intervento discusso e decisivo della magistratura, AntonVeneta andò ad Abn Amro e Bnl a BnpParibas.
Fazio fu cacciato, processato, condannato – fra gli applausi di Zingales & C- – e solo molti anni dopo riabilitato. Al suo posto arrivò dalla Goldman Sachs un banchiere di mercato come Mario Draghi, poi promosso alla Bce, che da due anni è titolare anche dei poteri di vigilanza bancaria sull’eurozona. Il suo successore in via Nazionale, Ignazio Visco, non ha mai deflettuto dall’ortodossia del “non intervento” portata da Draghi in Bankitalia: il rispetto dottrinario del mercato ha conosciuto il suo picco nel 2007, quando AntonVeneta fu ricomprata all’Italia da Mps con disco verde immediato da parte di Palazzo Koch.
Non è proprio banale, quindi, che lo stesso Zingales, sulle stesse pagine del Sole torni oggi a lanciare l’allarme: a chiedere di far presto a salvare le banche italiane. Non era tutto risolto nel 2005, per di più con il varo di una nuova “legge sul risparmio”? Soprattutto, l’economista della scuola di Chicago stavolta invoca l’intervento dello Stato: solo così il sistema creditizio nazionale può essere messo in sicurezza e contribuire alla ripresa. Anzi: l’Italia dovrebbe imitare gli Usa all’indomani del crack Lehman Brothers, lanciando un piano di riacquisto pubblico degli asset tossici (non i derivati globali del 2008, ma le sofferenze nazionali del 2016).
Forse non ha torto, ma dov’erano in questi anni Draghi, Visco e lo stesso Zingales, a parte sposare l’austerity imposta all’Italia “dai mercati e dall’Europa” per pagare il conto del crack di Wall Street a spese (anche) dell’Italia e delle sue banche? E perché Zingales – censore catoniano di banche, governi, Consob etc – non ha mai alzato un mignolo per eccepire la “non-vigilanza mercatista” della Banca d’Italia di Draghi poi mescolata alla vigilanza asimmetrica dei poteri forti franco-tedeschi? Perché non ricordare che il bail-in europeo è figlio della pretesa ideologica di auto-regolazione mercatista sintetizzata in “Basilea 3”, primo firmatario Mario Draghi?
Alla fine, comunque, le “banche italiane da salvare” sono una sola: ancora il Montepaschi. Lasciato marcire dal 2007 e ora prossimo a una sentenza definitiva di morte da parte dell’Eba. Lasciato in balìa dell’illusione di potersi salvare con due aumenti di capitale “sul mercato”: 8 miliardi già bruciati se il gruppo ne vale oggi meno di uno in Borsa. E adesso ci vogliono i soldi del contribuente italiano? Forse quest’ultimo alla fine la scamperà: è stato lo stesso premier Renzi, ieri, a dire che l’Italia preferirebbe per il Monte “una soluzione di mercato”: dopo l’ennesima settimana di braccio di ferro, di ordini e contrordini, di sussurri e grida fra Roma e Bruxelles (e Francoforte e Berlino). Ma il tempo dei balletti in Europa – anche dopo Brexit – sembra finito. Non solo l’altra sera ai rigori con la Germania.