«La riduzione delle tasse annunciata dal ministro Padoan si pone a metà strada tra il gioco delle tre carte e la pubblicità elettorale. La diminuzione del carico fiscale non è possibile fino a quando saremo vincolati dai trattati europei». Lo evidenzia Antonio Maria Rinaldi, professore di Finanza aziendale all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara e alla Link Campus University di Roma. Mercoledì il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha rimarcato che l’obiettivo del governo è rilanciare la crescita “ancorando le aspettative di imprese e famiglie a una prospettiva di alleggerimento del carico fiscale, al rafforzamento degli incentivi per l’innovazione, al controllo della spesa primaria corrente, che ha già raggiunto significativi risultati”.



Dopo la sconfitta del Pd alle Comunali, come cambierà la politica economica del governo?

La politica economica del governo non cambierà dopo le Comunali per un motivo estremamente semplice: il governo non può cambiarla. Il nostro Paese adotta una politica economica sulla base di vincoli esterni ben precisi, provenienti dall’Unione europea, indipendentemente dai risultati delle ultime elezioni. Il discorso da fare piuttosto è un altro.



E sarebbe?

Queste politiche errate fatte in modo più o meno consapevole sono all’origine del malcontento che ha determinato i risultati delle Amministrative. Gran parte del malcontento sarebbe stato rivolto a qualsiasi forma di governo, proprio in quanto vincolato da politiche economiche non decise in maniera autonoma. Non è assolutamente una giustificazione nei confronti del governo Renzi, ma una constatazione del fatto che l’Italia non è più sovrana al punto da determinare la propria politica economica.

Padoan ha annunciato un “taglio delle tasse per sostenere la ripresa”. È una promessa credibile?



La riduzione delle tasse si pone a metà strada tra il gioco delle tre carte e la pubblicità elettorale. La diminuzione del carico fiscale non è possibile se si continua ad adottare la politica economica “dei vincoli esterni e dei trattati”. Sulla base di questa politica, appartenere all’area euro significa non poter decidere assolutamente nulla in modo autonomo in ambito economico.

Allora perché Padoan ha detto che il carico fiscale scenderà?

Quando Padoan annuncia che taglierà le tasse, lo fa o per ragioni elettorali o perché sta facendo giochi di prestigio come il bonus da 80 euro, con cui si dà con una mano per togliere con l’altra. Semmai c’è stata una redistribuzione, ma fino a un certo punto. A una parte degli stessi lavoratori è stato chiesto di restituire gli 80 euro, è stata tolta la possibilità di ottenere determinati sgravi fiscali, e quindi alla fine gli 80 euro sono stati erogati solo sulla carta.

Se questi vincoli europei sono così stringenti, perché altri Paesi possono sforare il rapporto deficit/Pil del 3%?

Per un motivo molto semplice: alcuni Paesi Ue hanno un Dna più vicino alla Germania e questi vincoli europei sono stati plasmati sugli interessi tedeschi. Il modello economico a supporto dell’euro del resto prevede la stabilità dei prezzi, cioè il contenimento dell’inflazione, e il rigore dei conti pubblici fino al principio del pareggio di bilancio.

 

Eppure questi principi valgono per alcuni ma non per tutti …

Alcuni Paesi Ue sforano il 3% perché hanno una classe politica che ha la capacità di imporsi, mentre l’Italia ne è priva. Francia e Spagna, senza chiedere niente a nessuno, hanno un rapporto deficit/Pil tra il 4 e il 5%. A loro non è detto nulla, mentre appena l’Italia sgarra arrivano letterine e rimbrotti da Bruxelles. Evidentemente la nostra classe politica non è mai stata capace di rimandare al mittente queste critiche, facendo prevalere l’interesse del nostro Paese. Ricordiamoci che quando la stessa Germania sforò il 3%, nessuno osò proferire verbo.

 

E se fosse la volta buona in cui anche il nostro governo capisce che o ignora i diktat europei o perde anche i consensi che gli restano?

Il problema è che il governo considera già come una grande vittoria il fatto di avere ottenuto un rapporto deficit/Pil pari al 2,3% nel 2016. Già dal prossimo anno l’Italia dovrà attenersi all’1,8%, altrimenti scatteranno le clausole di salvaguardia con l’aumento dell’Iva.

 

(Pietro Vernizzi)