La protesta formale del presidente della Bce, Mario Draghi, per le perquisizioni giudiziarie effettuate dalla magistratura di Lubiana presso la Banca di Slovenia, ha fatto molto meno notizia – in Italia – dell’ennesima giornata concitata dentro e fuori il Monte dei Paschi di Siena. Eppure, anche per i nemici di ogni dietrologia e per i critici più severi del caso Mps, non è facile restare impermeabili al sospetto che dietro entramble le vicende si nascondano pressioni al limite dell’assedio nei confronti del presidente italiano della Bce.



Il “raid” della polizia locale – ha affermato Draghi nella sua lettera indirizzata alla Procura di Stato slovena e al presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker – ha portato al sequestro (“illegale” secondo il presidente Bce) di materiale riguardante la crisi bancaria che ha colpito la Slovenia nel 2013: in particolare sui rapporti fra Bce e Banca di Slovenia (il cui governatore Bostjan Jazbec siede nel consiglio generale dell’Eurotower). L’operazione rientrerebbe in un’investigazione preliminare a procedimenti penali “pre-criminal investigation”.



È comprensibile l’irritazione istituzionale di Draghi, il quale ha ribadito nella protesta che le informazioni sequestrate avrebbero invece dovuto restare protette dalle normative europee. Ma non è difficile intavvedere, nel banchiere centrale dell’euro, preoccupazioni più sostanziali. È un sicuro campanello d’allarme se in un Paese membro dell’Ue e dell’eurozona non vengono rispettati i canali diplomatici all’interno del sistema europeo delle banche centrali. E questo desta ovviamente ancor più sorpresa e apprensione se l’ufficio di un govenatore nazionale viene violato per le funzioni di vigilanza bancaria che la Ue ha di fatto assunto solo da un paio d’anni. Non da ultimo, la Slovenia è Paese legato fin dalla sua nascita – dopo la dissoluzione della Jugoslavia – all’Austria e soprattutto alla Germania: il tallero – la valuta nazionale poi confluita nell’euro – è sempre stata agganciato al marco.



Nel dopo-Brexit, una situazione già tesa nell’Unione bancaria è diventata soprattutto caotica e conflittuale. Un presidente della Commissione Ue che ha firmato un’autorizzazione lampo all’Italia per fornire “liquidità d’emergenza” alle sue banche è stato rimbeccato dal cancelliere tedesco, timoroso sull’apertura di varchi al “bail-in”. Per un vicepresidente lituano dell’Ue che ha subito confermato “colloqui con l’Italia sulle banche”, il presidente olandese dell’Eurogruppo ieri ha ribadito che l’Italia “deve rispettare le direttive” sui salvataggi bancari. E mentre il presidente Bce sollecita tutta l’Europa a mettere ordine nelle sue banche, la Fed spara ad alzo zero non contro le banche italiane, ma contro la Deutsche bank, avvelenata di derivati, “la più pericolosa d’Europa”, se non del mondo.

Anche a Siena e dintorni, ieri è andato in scena tutto e quasi tutto il suo contrario. La giornata è iniziata con la prospettiva molto accreditata che il consiglio d’amministrazione avrebbe deliberato un aumento di capitale: un passo coerente con l’intento di intervento pubblico nella banca. Ma in serata il cda ha affermato di aver soltanto esaminato la “bozza di lettera” con cui la Bce ha preannunciato la richiesta di smaltimento di 10 miliardi di sofferenze in tre anni. Attenzione: “bozza di lettera”, ha sottolineato l’amministratore delegato Fabrizio Viola, in attesa di ricevere la versione definitiva, cioè il responso degli stress test.

Ancora un sottile sospetto: perché l’improvvisa escalation contro Siena da parte della vigilanza Bce (affidata in via quasi autonoma alla francese Danièle Nouy)? Quanto pesa il fatto che la crisi del Monte sia originata da una vigilanza oggettivamente insufficiente della Banca d’Italia quando governatore era lo stesso Draghi? E quanto che l’agonia del Monte riassuma tutte le oscurità dl centrosinistra toscano quando il Premier è Matteo Renzi?